Giovanni Bartolozzi
CONCORSO STAZIONE ALTA VELOCITA' FIRENZE: UNA SCELTA POCA CORAGGIOSA


La mostra allestita all'ospedale degli Innocenti sui dieci progetti per la nuova stazione dell'alta velocità di Firenze, ha creato un'insolita e gradevole atmosfera, un'occasione di confronto e di respiro internazionale per una città che sembra risvegliarsi dal letargo. Ma non solo. Ha consentito di estendere al pubblico, il lavoro svolto dalla giuria nella scelta di un importante progetto urbano. Giuria, è bene ricordarlo, presieduta da Gae Aulenti e costituita da: Pio Baldi, Francesco Dal Co, Carlo De Vito, Gianni Colantoni, J.P. Kleihues, Stefano Reggio, J. Sondergaard, Marco Tamino.
Com'è noto, il progetto vincitore è quello dell'architetto inglese Norman Foster seguito da Arata Isozaki, Santiago Calatrava e al quarto posto dal gruppo italiano capeggiato da Ricci & Spaini.
Svisceriamone in breve i contenuti e i singoli apporti, anche alla luce di quanto espresso dal bando di concorso, il quale fornisce un'indicazione, a mio avviso, vertebrante: (tratto dal bando di concorso) "il piano del ferro della stazione Alta Velocità sarà collocato a 25 m sotto il piano di campagna e attraverserà un camerone lungo 454 m e largo 52 m, collocato parallelamente ai binari."
Questa precisazione tecnica fornisce una chiave di lettura pregnante e inequivocabile: la profondità del piano del ferro rispetto a quello di campagna, in un lotto stretto e lungo, consente un'intelligente messa a punto d'espedienti atti a scandire e dinamizzare trasversalmente l'isolato. In sostanza, la sezione trasversale acquista una forza spazialmente generatrice, giacché occorre portare luce, vita, e spazio a 25 m sotto terra.
In generale, quasi tutti i dieci progetti hanno ri-proposto un'idea (in realtà un'immagine) per certi versi tradizionale della stazione: la grande e lunga galleria d'origine ottocentesca.
Il progetto di Norman Foster + Arup, sfrutta sostanzialmente quest'idea. La grande e luminosa galleria, adibita a centro commerciale, mediante sei tagli triangolari inferti ai solai, rovescia luce ai piani sottostanti, mentre una serie di passerelle, apparentemente librate nel vuoto, assieme a lunghe scale mobili scandiscono regolarmente lo spazio interno.
La maestosa galleria interamente vetrata e a sezione circolare è strutturata mediante costoloni incrociati in acciaio, che intersecandosi lungo tutta la superficie, creano una sorta di guscio squamoso, concluso alle due estremità da spericolati e acuminati sbalzi. Tale soluzione, grazie alla suddivisione in pannelli romboidali regolabili, garantisce inoltre ottime prestazioni tecniche, come la deviazione dei raggi solari e un efficace ricambio d'aria, evitando così sofisticate apparecchiature di estrazione. In sostanza un prodigio tecnologico spazialmente poco articolato, il cui merito consiste nell'aver attualizzato tecnologicamente una tipologia sperimentata.
Molto simile la proposta di Santiago Calatrava. Una lunga galleria vetrata, leggermente incurvata e generata dall'intersezione di sottili nervature. Anche in questo caso la copertura si sbilancia verso le due estremità, soverchiando due piazze d'ingresso opposte (su Viale Belfiore e su Via Circondaria) con sbalzi sorprendenti, slanciati e accompagnati da profili curvi terribilmente tesi: una grande bocca aperta che risucchia dentro il viaggiatore. Lateralmente, la galleria si estende, slabbrandosi (con un altro sbalzo), ad una terza piazza, fino a coprirne le scale d'ingresso. Lo spazio interno racchiuso dalla galleria, tuttavia non coinvolge la profondità della sezione, cosicché scendendo di quota la galleria perde forza fino a diventare invisibile all'altezza delle banchine. Rimane costante ad ogni piano la raffinata, elegante, spesso lirica struttura che, nella sua ossessiva serialità, congela lo spazio.
Tipologicamente simile, ma formalmente diversa e più originale, la galleria proposta da Arata Isozaki. Una lastra sottile, pulita, tagliente, lunga 400 m e poggiante su quattro nuclei strutturali trattati come elementi terrosi, ramificati, a sezione curvilinea e rivestiti da pannelli d'acciaio sagomati. Esteticamente il contrasto tra la semplicità della lastra di copertura e il trattamento irregolare, quasi inaspettato dei sostegni, rischia d'essere eccessivo e per certi versi ridondante. Tuttavia traspare la volontà vulcanica di stravolgere la tipologia consueta, contorcendo le membrature strutturali secondo forme dettate in buona parte da esigenze di carico e ricavate usando uno dei software di calcolo attualmente più innovativi. Spazialmente, la parte centrale diventa un unico volume tagliato da due passerelle che attraversano trasversalmente l'isolato, mentre alla quota delle banchine niente rimane percettibile: un massiccio solaio ne preclude la continuità spaziale e luminosa.
I tre progetti sopra analizzati, propongono ardite soluzioni tecniche, sfruttando articolazioni funzionali e distributive diverse, parlando linguaggi diversi, ma sforzandosi di rinsanguare una tipologia di dichiarata matrice ottocentesca, tralasciando spesso il coinvolgimento spaziale per l'intera profondità della sezione, pur di non rinunciare al pesante e grandioso impatto urbano sulla città. Tale atteggiamento concettuale, anche se risolto con soluzioni moderne di ragguardevole interesse tecnologico-strutturale, preclude aprioristicamente la messa in discussione e la rielaborazione del tema proposto.
Il gruppo italiano capeggiato da Ricci & Spaini, propone una soluzione inedita per una stazione ferroviaria. Non solo mettendo in discussione la tipologia ottocentesca, ma negando l'idea stessa di edificio, sfasciando con coraggio l'immagine di volume da inserire all'interno del contesto urbano, di facciata, di blocco statico e tecnologicamente ardito, rovesciando la metodologia consueta per aggiornarne i contenuti, rielaborandoli attraverso un'estetica di rottura. Non un nuovo edificio ma un nuovo parco atto a simboleggiare il passo in avanti, il cambiamento della Firenze contemporanea. Un tale approccio impone anche di ribaltare la chiave di lettura: non una sezione trasversale da riempire e articolare, ma una sezione da scavare, svuotare, plasmare.
Il progetto è costruito con la logica della città, dei vuoti urbani e non coi forti segni planivolumetrici, ai quali siamo abituati e ai quali attribuiamo spesso poteri illusori, immaginari e formali di ricongiunzioni tra parti sconnesse. La paesaggistica diviene dunque fattore vertebrante l'intero progetto. Niente gallerie, niente vetrate, niente sbalzi, niente altezze sovraumane. Solo una collina, che descrive lo sfondo paesaggistico della città.
Internamente lo spazio è dinamico, le superfici dei solai intermedi, punteggiante da tagli, riseghe, cesure, generano, nella sovrapposizione, una continuità spaziale travolgente, enfatizzata da tre grandi camini luminosi che investendo vorticosamente i piani intermedi, collegano il camerone al parco verde soprastante.
Il gioco è fatto: le sezioni trasversali, diversificate lungo tutto l'isolato (più di 400 m), sono spazialmente coinvolte per tutta la profondità, fino alla quota di banchina. Quest'accorgimento, provoca nel viaggiatore appena arrivato a Firenze, un impatto violento ma immediato e affascinante, con l'intera spazialità dell'edificio-scavo, enfatizzata da una trama di passaggi sospesi che, articolandosi e avvitandosi all'interno dei camini luminosi, generano un flusso ascensionale di passeggeri, cui fa riscontro una cascata traboccante di luce. I camini luminosi diventano così tre eventi propulsori che, rovesciando il consueto rapporto dentro-fuori verticalmente, consentono alla quota delle banchine la vista del cielo.
Lo spazio interno si articola dunque su uno schema che, unendo i due accessi opposti (su Viale Belfiore e su Via Circondaria) con un percorso a "corda molla", sembra ricalcare la dolcezza complessa del parco verde soprastante, attraverso una dialettica d'agevoli passaggi di quota, d'esplosioni luminose, di pressioni e risucchi, che vertebrano i vuoti.
Quanto detto attiene ad un'analisi spaziale del progetto, ma non tiene conto di un altro aspetto, ritenuto fondamentale dai progettisti e in perfetta sintonia con l'approccio paesaggista, di cui la stazione si caratterizza: la galleria dei treni sottofalda. In breve, "la realizzazione di un sistema di grandi gallerie a struttura idrostatica, con una membratura a doppia curvatura che resiste alle pressioni del terreno, ove galleggiano in immersione", evitando che il camerone realizzato sottoterra, a quota di circa 26 m, possa impedire il passaggio della falda acquifera sotterranea di Firenze. Diminuendo quindi il rischio idro-geologico causato da eventuali deviazioni artificiali della falda, deviazioni o restrizioni che saranno realizzate per il progetto vincitore.
Quest'ultima proposta costituisce il tassello mancante per comprendere la forza dell'intero progetto: rivoluzionario nell'impatto urbano, pregnante nello scavo del volume, attento nel riutilizzo del terreno estratto per la stratificazione del parco, travolgente e dinamico nell'organizzazione spaziale, esplosivo nel dosaggio dei tre vortici luminosi, intelligente e preventivo nell'utilizzo di tecnologie ambientalmente utili, economico sotto l'aspetto realizzativo.
Ma la giuria conclude "infine, un particolare cenno di interesse la discussione in seno alla giuria, lo ha riservato al progetto del gruppo capeggiato dagli architetti Ricci e Spaini, che hanno proposto, con intento educatamente polemico di "mimetizzare" i volumi della nuova stazione sotto un involucro naturalistico, che si avvale, però, di raffinate soluzioni strutturali."
Tale verdetto emesso con superficialità è sintomatico della scarsa considerazione attribuita in Italia all'innovazione tipologica, alla sperimentazione e soprattutto alla paesaggistica, grazie alla quale, il progetto capeggiato da Ricci e Spaini, tenta di proporre una nuova tipologia insediativa all'interno della città contemporanea. Dopo lo stupro praticato da Leon Krier al gran parco verde di Novoli, ideato dal paesaggista americano Lawrence Halprin, il progetto Ricci e Spaini tenta, in forma molto ridotta ma assai più coraggiosa, di rilanciare la sfida. Purtroppo con poco successo.
Una scelta poco coraggiosa, dunque, quella della giuria.
Giovanni Bartolozzi

 

 


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Si ringrazia l'ufficio stampa della mostra per la concessione delle immagini