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       Peter Eisenman  di Antonino Saggio     
 
 
 
 
 
 Perché
        Eisenman  Scrivo a testa in
        giù d'altra parte del globo.
        Lontanissimo fisicamente da 560 Fifth avenue y e da 150 via Nomentana.
        Eppure quaggiù la vita appare più chiara più
        forte,
        le domande più evidenti. I bambini vanno a scuola, giocano o
        chiedono
        la carità. E chiedendo la carità giocano e cantano
        imparando
        la loro vita: dura, che si cerca di migliorare, ma anche vita, tout-court. Le sfide che ci sono davanti (e sono tante: i problemi del terzo mondo,
        l'immigrazione, le aree deturpate, il recupero della periferia, i
        rifiuti
        e l'ecologia, la ricerca della qualità di spazi e di nuove
        socialità
        tra le persone, le risposte a un mondo progredito rivolto sempre
        più
        alla comunicazione e di un mondo ancora naturale legato ai problemi
        materiali
        del corpo - sanità, igiene, cibo, figli) sono crisi che si
        devono
        trasformare in valori, in risorse del progetto per spingerci oltre,
        darci
        la forza e la vitalità dell'agire.  Perché Eisenman,
        allora? In vent'anni e più
        di provocazioni condotte ai vertici della tribuna internazionale
        dell'architettura,
        Peter Eisenman ci ha aiutato a riflettere, ci ha sfidato a pensare, ci
        ha invitato a porci domande per capire come questo mondo, queste sfide
        abbiano bisogno anche di una estetica di rottura, di
        cambiamento.
        La sua figura guida il trapasso, non ancora compiuto, e di cui stiamo
        faticosamente
        cercando le strade, tra gli artefici di una rivoluzione, che
        tra
        la Fagus di Gropius (1911) e Falling water di Wright (1936) ha
        drasticamente
        cambiato le coordinate del fare architettura, e il futuro. Eisenman in
        questo processo di cambiamento è figura storicamente
        imprescindibile.  Sino a qualche anno fa,
        era soprattutto un critico dell'architettura.
        Abile e acuto polemista, studioso, docente, fondatore di riviste,
        direttore
        di un istituto di ricerca, rappresentava il campione di una teoria
        carica
        di sofisticati rimandi alle arti figurative, alla psicoanalisi, alla
        filosofia.
        Intellettuale dell'élite newyorchese si proponeva di combattere
        tanto il rassicurante ritorno all'antico che i meccanici legami
        forma-funzione.
        Ma nell'ultimo decennio, dopo una fase coraggiosa di analisi e di
        rifondazione,
        Eisenman ha pietrificato le sue teorie in progetti importanti: in
        Europa,
        in America, in Giappone. I volumi delle sue costruzioni nascono da
        estrusioni
        di poligoni complessi, si sviluppano con andamenti spezzati, si
        sovrappongono
        e intersecano reciprocamente, si dispiegano a ventaglio con rotazioni
        successive
        delle piante e delle sezioni, si mostrano come minerali fuoriusciti da
        improvvisi movimenti sotterranei, seguono il meccanismo genetico dei
        frattali,
        elaborano il tema della presenza-assenza di nuove geometrie. Le sue
        idee
        stanno fiorendo e propongono alcune drastiche, importanti,
        novità.
        Per metterle nel giusto rilievo questa indagine è estesa al suo
        intero percorso intellettuale con qualche inevitabile, ma speriamo solo
        apparente, digressione al dibattito architettonico a lui contemporaneo. 
 
 
 
 
 1. Il Big bang dell'architettura 1. Poker Vitruviano?
 L'architettura, dicevano
        gli antichi, ha tre componenti.
        Pollio Vitruvius nel 1 secolo a.c. individua la sfera della Utilitas,
        che possiamo chiamare funzione, la Firmitas che investe la
        costruzione
        e poi la Venustas, cioè la bellezza. Nei secoli questa
        triade
        si è sotto articolata, i pesi delle componenti sono stati
        diversamente
        gerarchizzati ma mai completamente sfidata l'idea che il risultato
        fosse
        legittimato quale "sintesi". Per avere un rapidissimo test, basti
        pensare
        agli anni Venti in questo secolo quando coesistevano tre approcci ben
        diversi:
        l'impostazione accademica, formalizzata in un lungo processo che faceva
        perno sugli ordini classici e sulla tipologia e che aveva sancito delle
        regole auree che aderivano a una concezione sovrastorica e immutabile
        di
  "bellezza"; quella dell'ingegneria, che attraverso le entusiasmanti
        conquiste
        dell'ottocento e del nuovo secolo privilegiava il calcolo e la
  "costruzione
        a regola d'arte"; e infine quella della "Nuova oggettività" che
        (soprattutto nel Werkbund e poi nei primi Ciam) si poneva l'obiettivo
        di
        affrontare le domande della società industriale. Al primo posto
        vi era appunto la utilitas, lo studio minimo ma efficiente
        degli
        ambiti, delle superfici, dei componenti, negli altri la venustas o la firmitas ma accademia, ingegneria o neue sachlichkeit:
        creavano solo delle priorità operative. In
        particolare
        i grandi architetti che guidarono il rinnovamento dell'architettura del
        secolo avevano chiara che questa ricerca di sintesi era semmai
        rafforzata
        dalle nuovi conoscenze tecniche e scientifiche e che solo uno sforzo
        intensamente
        unitario poteva permettere di affrontare con successo le nuove sfide.  Attraverso un processo
        esaltante, pieno di errori ma anche
        di sconvolgenti intuizioni e di oggettive conquiste, Gropius, Mies, Le
        Corbusier e Wright guidano una trasformazione che simultaneamente
        investe
        la sfera della costruzione, nei secoli pietrificata nella tecnica
        lapidea,
        quella della funzione, (l'architettura non si occupa solo dei palazzi,
        le chiese gli edifici pubblici e monumentali ma investe tutto lo
        spettro
        del costruito: anche le case degli operai, i servizi minimi, e poi i
        quartieri
        e le città,) e quella della vecchia idea di bellezza. In Europa
        in particolare si combatte violentemente una visione cristallizzata e
        decorativa,
        per un minimalismo meccanico, industriale che fa tesoro della
        contemporanea
        modifica nel campo della percezione. La cornice prospettica ormai
        frantumata,
        nasce un sentire bidimensionale, a-prospettico, dinamico, astratto. In
        architettura non esistono più figure date a priori (il tetto, la
        finestra, l'edicola, il portico) ma segni astratti, senza significato
        proprio,
        che vengono, come nei quadri dei pittori, accostati in nuove dinamiche
        composizioni che attraverso la trasparenza del vetro e la struttura
        puntiforme
        del cemento armato e dell'acciaio coinvolgono in un flusso continuo
        esterno
        ed interno: luce aria verde vengono a fare parte integrante
        dell'architettura.
        Al trattatista y del I secolo, che sistematizzava la logica artificiale
        e dominatrice dell'urbanesimo militare romano, era inoltre estraneo il
        concetto di luogo (una ubiquitas y diremmo). All'inizio del secolo
        dall'altra
        parte dell'oceano, si scoprirà che l'architettura è del sito: quindi ne assorbe leggi di appartenenza nella logica asimmetrica
        dei volumi e nel processo organico della sua stessa crescita.
        L'architettura
        non "si adatta" a un luogo o a un paesaggio preesistente: serve a
        comprenderlo
        assorbendone e modificandole le leggi con la propria spazialità.
        La triade vitruviana si amplia a una quarta componente (indispensabile,
        tra l'altro, per cogliere la differenza tra l'architettura, abitata e
        radicata,
        e la produzione di oggetti, per definizione Mobili).  L'architettura non
  è un intrusione nel paesaggio,
        serve a comprenderlo  Funzione, costruzione,
        bellezza nuova consapevolezza dello
        spazio e del luogo si trasformano tutte insieme in una autentica
        rivoluzione..
        L'architettura vive le sfide del comprendere e razionalizzare i
        bisogni,
        la conquista dinamica dello spazio, dà volto a un modo nuovo di
        percepire la fluidità dell'edificio nel suo intrecciarsi con il
        tempo della percezione e dell'uso.  L'essenza polisemica
        della disciplina (l'architettura
        a differenza di altre arti serve anche uno scopo pratico) esce semmai
        rafforzata
        in questa nuova concezione (chiamata covenzionalmente "moderna", ma
        sull'aggettivo
        bisognerà tornare) e si irrobustisce della consapevolezza che l'UOMO,
          pur se drasticamente diverso da quello dell'Umanesimo rinascimentale,
          rimane
          l'agente originante proprio perché vive contemporaneamente
          dentro
          le diverse sfere che l'architettura adesso ancora di più e
          meglio
          di prima riesce a soddisfare.  La ragione di questa
        discussione, stranota ai più,
  è che Peter Eisenman comincia a emergere nello scenario
        internazionale
        proprio attaccando queste idee.  A suo avviso è
        proprio per il persistere della
        fortissima vocazione umanistica della nuova architettura, che nessuna
        rivoluzione
        epocale ha avuto luogo in questo secolo. Il fondamento umanistico
        impiantato
        nelle prime decadi del quattrocentesco in antitesi alla trascendenza
        medievale,
        rimane appunto "il fattore originante" della nuova architettura
        Conclusione
        di Eisenman, mediata dal filosofo francese Michael Foucault, nessuna
  "rivoluzione"
  è stata posto in atto nell'architettura "moderna". Architettura
        moderna e "modernismo" sono due cose diverse.  Il Modernismo che
        Eisenman rivendica, invece, rappresenta
        la rottura della centralità umanistica, l'esaltazione del
        momento
        autoreferenziale e autonomo della ricerca estetica. Insomma
        l'oggetto-architettura
        deve esistere di per sé, rispondere alla sue leggi interne, non
        derivare o acquisire valore da un contenuto umano. L'uomo non è
        più l'agente originante, il destinatario finale, il centro.
        Oggetti
        ed edifici sono idee, appartengono alla sfera del linguaggio. Dovremo
        tornare
        su queste idee, ma cerchiamo ora di capire come direzionano tutta la
        prima
        fase del suo lavoro. Quella che va dal 1963, in cui egli termina la sua
        formazione accademica, termina dieci anni dopo quando si afferma come
        architetto
        di spicco dei New York Five.    
 2. Riduzionismo
        esclusivista  Si fa un errore a pensare
        che il momento pregnante del
        lavoro di Eisenman sia quello in cui l'architetto, nei primi anni
        Settanta,
        comincia a assumere notorietà internazionale. È nel
        decennio
        precedente che i nodi vengono al pettine.  Eisenman nato a Newark,
        città del New Jersey, l'11
        agosto del 1932 studia architettura alla prestigiosa università
        privata di Cornell nel nord dello stato di New York dove, dopo aver
        svolto
        il servizio militare come ufficiale in Corea, si laurea nel 1955 con
        una
        tesi regolarmente premiata. Come è usuale negli Stati Uniti,
        dopo
        alcuni anni di pratica presso accreditati studi (Percival Goodman a New
        York e The Architects Collaborative, lo studio di Gropius, a Boston),
        torna
        agli studi universitari ottenendo il Master of science alla Columbia di
        New York nel 1959. Decisivo nella sua formazione è l'incontro
        con
        Colin Rowe, "il più importante dei miei padri". Rowe (nato nel
        1922
        y) ha un atteggiamento ricorrente negli intellettuali britannici. Uno
        snobismo
        eccentrico, nel suo caso irrobustito da vasta cultura, intelligenza e
        capacità
        di convinzione sia nella parola che negli scritti. Già negli
        anni
        Cinquanta il critico britannico studia la categoria, per altro
        fondativa
        nella nuova architettura, della trasparenza. Il suo approccio si
        autodefinisce
  "formalista": tende a scoprire ed evidenziare la logica del
        linguaggio
        architettonico che viene di conseguenza indagata, piuttosto che nei
        rapporti
        con il contesto storico-culturale, con lo stato dell'arte del
        costruire,
        o quale risposta a domande sociali, politiche, funzionali o
        ideologiche,
        nei suoi meccanismi interni di evoluzione, trasformazione, combinazione
        eccetera. Attraverso questa via, e la cosa non è affatto banale
        o trascurabile, si può interpretare Le Corbusier con Palladio e
        viceversa.  Rowe orienta la tesi di
        dottorato di Eisenman completata
        presso la facoltà di Cambridge dopo un triennio trascorso in
        Inghilterra
        terminato nel 1963. The Formal Basis for Modern Architecture si
        struttura come una rilettura analitica di alcuni esempi
        contemporanei
        condotta anche con l'ausilio di numerosi diagrammi. Il trentunenne
        studioso
        vi mette a punto gli strumenti per una analisi pertinente al
        progetto
        che è fatta con le stesse armi che si usano sul tavolo da
        disegno.
        Il dr. Eisenman, formato al massimo livello accademico quale teorico
        della
        progettazione, torna negli Stati Uniti per insegnare come Lecturer a
        Princenton
        dove incontrà il coetaneo Michael Graves anche lui docente alla
        stessa università. Con l'amicizia tra i due giovani architetti
        (sviluppatosi
        anche in diverse collaborazioni progettuali) comincia a prendere corpo
        il nocciolo di quelli che saranno i NY Five. Con Graves cerca una
        strada
        tra impegno e urban design nei progetto di Manhattan Waterfront (1966)
        e in altre prove di concorso a Boston, Washington, Berkeley, ma non
        sarà
        questa la strada dell'affermazione.  Nel 1959 muore Wright, e
        poi in rapida successione Le
        Corbusier, (1965 y) Gropius (1969 y) Mies (1972 y). Con la "morte dei
        maestri"
        scompare o meglio viene posta in crisi proprio la vocazione sintetica,
        unitaria dell'architettura che essi avevano tenuto insieme cercando
        sino
        alla fine, almeno con Le Corbusier e Wright, di conservare anche
        l'originario
        spirito di "rivoluzione permanente". Se si guarda alla scena americana
        degli anni Sessanta, in cui Eisenman comincia a muoversi, si scoprono
        un
        certo numero di continuatori di Gropius che aveva già da un
        quindicennio
        formalizzato uno studio allargato a molti collaboratori, ma il
        paradigma
        più diffuso e vincente è quello offerto da Mies van Der
        Rohe.
        Contemporaneamente emergono alcuni nuovi talenti come Paul Rudolph,
        Ieoh
        Ming Pei o Kevin Roche che aveva preso con Dinkeloo le redini dello
        studio
        Eero Saarinen prematuramente scomparso, alcuni geniali ma isolati
        continuatori
        della eterodossia wrightiana come Bruce Goff, una estesa produzione di
        qualità anche medio alta affidata ai grandi studi da Skidmore
        Owings
        and Merril a Minoru Yamasaki.  La novità
        più forte è quella di Louis
        Kahn, ma si tratta di un messaggio che non ammette repliche; quando
        trascritto
        da altri, immancabilmente impoverito. Esaurita la spinta della nuova
        architettura,
        confrontata con una pratica di routine e di buon senso, o con
        l'ascetismo
        tutto costruttivo di Mies, Kahn opera un drastico azzeramento. Una
        rifondazione
        strutturata sulle motivazioni profonde al bisogno di architettura per
        l'uomo
        e le sue "istituzioni". Una ricerca sui "perché", legata a
        concetti
        di permanenza e a valori sovrastorici, perenni. Per Kahn Il progetto
        (design)
        non più è aggredibile analiticamente via le componenti
        tecniche,
        estetiche o funzionali ("la forma segue la funzione) ma sempre ricerca
        di sintesi protesa a un momento superiore (form) che raggruma
        contemporaneamente
        le tre componenti: costruzione, funzione e forma si condensano nella
  "stanza"
        e successivamente queste monadi con significato si aggregano attraverso
        suggestioni archetipiche (la luce dall'alto, gli spazi contenitori e
        contenuti,
        il sistema concentrico di spazi differenziati) in una nuova ricerca sul
  "tipo edilizio". Il processo di progettazione si trasforma in una
        ricerca
        di intima coesività. È l'opposto di una ricerca
        formalistica,
        o meccanicistica. Semmai la formula kahniana recita: forma è funzione forma è costruzione.  La tautologia kahniana
        risucchia le sfere della vecchia
        triade vitruviana nel buco nero di una condizione primigenia. È
        l'ultimo ed estremo paradigma sintetico del secolo che, nella stessa
        impossibilità
        di diventare regola estensibile, accende una miccia. Contratta ai
        minimi
        termini di una tautologia, la stessa nozione di architettura quale
        sintesi
        tra diversi ESPLODE. in una miriade di
          frammenti,
          di schegge lontane e separate una dall'altra. È il Big bang
          degli
          anni Sessanta. Si accendono e spengono stelle e stelline ciascuna
          basata
          non più sull'idea di sintesi ma su quella di particolare. .
          D'altronde
  è il mondo stesso che non è più unitario, ma si
          diversifica
          in una miriade di stati, di opzioni diverse in una società del
          molteplice
          di cui lo stesso Sessantotto sancisce l'evidenza. Così la
          cultura
          architettonica, che con i maestri si era concentrata (pur se con
          accezioni
          diverse in Gropius, Mies, Wright, Le Corbusier e appunto nello stesso
          Kahn),
          nel tentativo di tenere insieme le componenti eterogenee
          dell'architettura
          perde la sua vocazione totalizzante e si occupa di frammenti di quello
          che prima era un insieme. Dopo Kahn si costruirà valore,
          non più sull'unitarietà ma sulla particolarità,
          non
          più sulla centralità ma sull'eccentricità, non
          più
          sulla ragionevolezza ma sull'esclusività.  Il fenomeno avviene
        simultaneamente su tutti i fronti
        della vecchia trinità, ormai distrutta quale Dio uno e trino. Se
        Rowe è il campione di una lettura autorefenrenziale sul
        linguaggio,
        nel medesimo scorcio tra fine Cinquanta e inizio Sessanta, gli scritti
        dell'inglese Reyer Banham y - con l'esaltazione del momento tecnologico
        costruttivo - e dell'italiano Leonardo Benevolo, - con una indagine
        prevalentemente
        socio-funzionale che dalla nuova architettura si estende all'indietro
        sino
        al Rinascimento - contribuiscono su fronti diversi all'aratura sul
        fronte
        storico-critico di un terreno esclusivista che si svilupperà
        vieppiù
        nel decennio successivo. Si tende spesso a dimenticare, che uno dei
        libri
        più influenti degli anni Sessanta è Note sulla
          sintesi
          della forma nel quale un giovane architetto con solide basi nella
        matematica
        porta agli estremi una concezione deterministica. Il risultato formale
  è per Christopher Alexander il frutto di una ricerca meccanica
        di
        un albero di requisiti che possono tutti essere descritti e indagati
        nello
        loro ramificazioni e necessità di ordine pratico. È
        l'esplicitazione
        estrema ( decine e decine di attributi per uno scalda acqua) della
        Utilitas.
        Il paradigma scientifico spoglia l'architettura di tutti gli altri suoi
        attributi, soprattutto quelli autonomamente estetici. Questo tipo di
        riduzionismo
        meccanicistico si connota più oltre, nello stesso Alexander ma
        anche
        in altri progettisti, di sociologismo. Si rivendica tutto al momento
        della
        partecipazione, del bricolage, del montaggio quasi casuale degli
        elementi
        scelti direttamente dagli utenti.  Ma dicevamo che questa
        concentrazione sul particolare,
        su una scheggia di quello che prima era unito avviene anche in altre
        direzioni
        . Basti pensare all'esaltazione del momento tecnico-costruttivo nelle
        esperienze
        radicali di gruppi quali gli Archigram o dello stesso Buckminster
        Fuller
        che si travasano in opere concepite nei primi anni Settanta dove si
        presentano
        costruzioni-macchine, scheletri le cui ossa e vene, magari colorate,
        sono
        diventate il tutto.  Un altro decisivo libro
        degli anni Sessanta basato, su
        un fronte diverso, sullo stesso fenomeno riduzionista è quello
        di
        un ex collaboratore di Kahn. Scrive a ragione Tafuri che Robert Venturi
        apre "il pozzo senza fondo della ricerca formale". Eppure questa
        apertura,
        che sarà negli anni a venire il filone portante del cosiddetto
        post-modernismo,
        avviene attraverso un'operazione di per sé interessante.
  È
        l'interesse verso i nuovi significati indicati dalla Pop Art: l'arte
        deve
        metabolizzare anche il momento spontaneo, vernacolare, periferico,
        kitch
        della società contemporanea. Tesa da una parte alla sua storia
        alle
        sue regole e dall'altra al fluttuante mondo della società di
        massa
        (il Campidoglio e Michelangelo e dall'altra Las Vegas e le insegne
        pubblicitarie)
        l'architettura non può che raffigurare, appunto,
        complessità
        e contraddizioni.  In questa generalizzata
        frammentazione della visione unitaria
        della disciplina, Eisenman si afferma sulla scena internazionale
        attraverso
        una ancora diversa visione riduzionista ed esclusivista. Vediamo
        attraverso
        quale percorso, perché naturalmente pur se gli esiti che lo
        sanciscono
        come figura di spicco della nuova avanguardia architettonica (sancito
        da
        un sondaggio che la rivista "Progressive Architetcture", ha compiuto il
        decennio seguente) alcuni "padri" sono esistiti, che con sorprendente
        intuito
        e acume combinerà. 
 
 
 
 2. Architettare
        testi e manifesti
 1. Architetto-artista concettuale.
 Eisenman docente a
        Princeton (cittadina universitaria
        del New Jersey a poca distanza da New York), è abituale
        frequentatore
        dell'ambiente d'élite dell'avanguardia (forse anche nel suo caso
        si potrebbe parlare della categoria del Manhattanismo come in David
        Byrne,
        Woody Allen, Andy Warhol) e cerca la propria autonomia con una serie di
        distinguo rispetto al dibattito architettonico del momento.  Innanzitutto si distanzia
        dall'impostazione kahninana
        rifiutandone sia la tensione sovrastorica. che i risultati, (che certo
        porgevano il fianco anche a entusiasmi accademici e passatisti).
        Rifiutando
        il paradigma sintetico e sovrastorico del maestro di Philadelphia egli
        taglia un cordone con la cultura degli anni Sessanta e
        contemporaneamente
        ne recide altri: quello funzionalistico-sociologico alla Alexander,
        quello
        costruttivo-utopistico (Archigram, Buckminster Fuller eccetera),
        naturalmente
        quello produttivistico degli studi incorporati o del professionismo di
        alta qualità come quello di Pei o Rudolph o Roche per il quale
        in
        fondo, non ha neanche la predisposizione creativa e la struttura di
        supporto
        professionale. La sua lunga esperienza in Europa, la vita a New York
        (la
        città meno americana d'America) lo allontanano da ogni mito
        della
  "frontiera" (alla Bruce Goff o Paolo Soleri).  Semmai, più
        prossima la sua posizione potrebbe
        essere alla ricerca sofisticata e provocatoria di Venturi o dello
        stessa
        Tendenza italiana (parteciperà alla Triennale milanese
        coordinata
        da Rossi nel 1973 y). Ma in un caso come nell'altro le differenze sono
        fortissime: infatti in entrambi persiste, malgrè y soi diremmo,
        una visione contenutistica. Da una parte rivolta a una ricerca aperta
        al
        quotidiano, dall'altra a una metafisica di tipi e forme pure che,
        riscoprendo
  "l'edilizia cittadina" proposta nel ventennio da Piacentini, la
        promuove
        quale indicazione sociale e politica di segno opposto. Eisenman
        scoprirà
        una strada radicalmente diversa.  Gli anni Sessanta vedono
        l'affermarsi sul fronte filosofico
        dell'analisi sul "testo" (che avrà in Italia "eco", oltre che
        negli
        scritti dell'autore di Opera aperta, anche in architettura
        attraverso
        il lavoro di Renato De Fusco e della sua rivista "Op. Cit." e negli
        scritti
        soprattutto di Giovanni Koenig molto vicino a Bruno Zevi). Le basi
        teoriche
        sono nel lavoro di De Saussure a inizio secolo, uno sviluppo
        rimarchevole
        si era compiuto nel lavoro degli strutturalisti sovietici come ..... y
        ma negli anni di Eisenman figura emergente è quella di Noam
        Chomsky,
        il suo secondo padre. Intellettuale tanto impegnato politicamente nel
        movimento
        pacifista che porterà al Sessantotto americano che sulla analisi
        del testo come struttura di significati autonomamente relazionati, il
        generativismo
        di Chomsky diventa la componente con la quale a un tempo irrobustire il
        formalismo di Rowe e iniziare un processo di "dislocamento".  Si tratta di una delle
        parole chiave del nostro. Eisenman
        sin da giovane ha piena consapevolezza, che la conoscenza artistica non
        viaggia per coerenze ma per frizioni tra entità diverse. A
        compatibilità
        scontate sostituisce, con tutti i rischi del caso,
        incompatibilità:
        nella speranza diventino rivelatrici. Disclocare, pertanto, vuol dire
        operare
        non solo "da dentro" il linguaggio dell'architettura medesimo, ma anche
  "da fuori" facendo intervenire (non gli abituali contenuti ideologici,
        politici o costruttivi) ma un sistema di pensiero tanto più
        destabilizzante
        quanto più lontano dalla prassi e dai contenuti tradizionali
        dell'architettura.  Pur se la prima
        dislocazione di quella che sarà
        una lunga serie è meno dirompente delle successive (testo
        letterario
        e testo architettonico fanno entrambi perno sul linguaggio) rimane una
        grande novità: l'architettura è un testo, i suoi
        riferimenti
        sono dentro la logica architettonica ma allo stesso tempo dislocati in
        altri sistemi del pensiero. Tipico a proposito è il suo primo
        manifesto
        della serie "Notes on Conceptual Architecture. Towards a definition"
        del
        1969, dove cinque numeri su un foglio bianco rimandano ad altrettanti
        testi
        da Donald Karshan con un saggio in Conceptual Art and Conceptual
          Aspects a
        Gregory Battock, Minimal Art , da Erwin Panofsky Idea, a
          concept
          in art theory a Dematerialization of Art. "Un quadro" di
        architettura
        che fa riferimento alle nuove teorie tra minimalismo e arte concettuale
        della nuova avanguardia ad artisti come Sol Lewitt, Joseph Kossut,
        Donald
        Judd e a critici come Rosalind Krauss e Clement Greenberg.  Su queste basi, Eisenman
        compie la sua prima affermazione
        come vedette internazionale. L'architettura viene indagata come un
  "testo"
        per rappresentare "la struttura formale di una narrazione", non per
        veicolare
        il complesso dei significati ideologici, funzionali, sociali,
        costruttivi.  Ma se l'architettura
  è un testo, essa diventa allo
        stesso tempo - è il bel titolo del saggio di Pippo Ciorra; nella
        sua monografia - "un pretesto". Il medium è secondario:
        scrittura
        verbale, scrittura progettuale, scrittura costruttiva sono solo dei
        supporti
        intercambiabili. Non solo. Scrittura ex novo e ri-scrittura critica si
        identificano ("Terragni non esiste. Terragni l'ho inventato io.
        Terragni
        sono io." - affermerà in una conferenza).  Eisenman in questo
        processo si autorappresenta non come
        un architetto tradizionale, ma come un "architetto concettuale":
        campione
        dell'analisi linguistica dell'architettura nei suoi significati logici
        autoreferenziali (via Rowe) quanto dei rapporti con la struttura di
        origine
        letteraria del testo (via Chomsky) (con riferimenti sparsi alle
        avanguardie
        artistiche del momento): è la sua personale rappresentazione, la sua scheggia del Big-Bang.  Su queste coordinate la
        sua stella comincia a brillare,
        ad acquisire una propria consistenza esercitando i propri effetti
        gravitazionali
        coesistendo, a distanza, con altri sistemi solari della nuova galassia
        in cui è ormai esplosa la cultura architettonica. La miscela di
        unilateralità e perentorietà che egli afferma sul fronte
        del nuovo formalismo linguistico si ritrova infatti, nel corso degli
        anni
        Settanta, con la stessa perentorietà ed esclusività,
        anche
        in Rossi e Krier nella memoria delle forme primarie, in Venturi nel
        kitch,
        in Piano e Rogers nell'high-tech, in Kroll nel bricolage. Ma la miscela
        di Eisenman sarà vieppiù particolare perché egli
        intuisce
        che non basta avere idee e teorie: bisogna sapere strutturarsi entro un
        mondo ormai dominato dalla comunicazione 
 2. Cultura è un business.  Nella molteplicità
        del mondo contemporaneo e nella
        stessa frammentazione in cui si è ormai spezzata la disciplina,
        l'eccentricità, la perentorietà, e l'esclusività
        di
        una posizione intellettuale (non la sua "bontà") crea valore se veicolato in appositi media. Essi stessi infatti hanno bisogno di
        idee
        (diremmo, hanno bisogno "comunque", di idee) per funzionare nel mondo
        delle
        merci. Idee e tesi, per quanto lontane dalle consuetudini, vanno
        presentata
        con forza provocatoria, con una buona dose di teatralità (siamo
        anche nel momento del nuovo teatro e degli happenings), teorizzate in
        tutti
        gli aspetti, diffuse in tutte le sedi, legittimate e soprattutto
        autolegittimate
        attraverso un dislocamento eccentrico (possibilmente, "esotico") ma di
        cui bisogna captare le potenzialità di sviluppo e di
        accettazione.  Il ventaglio delle
        iniziative di Eisenman relazionate
        al variegato mondo della comunicazione è vasto e articolato.
        Invece
        di radicarsi come l'amico Graves a Princeton diffonde le sue tesi
        insegnando
        in moltissime università: alla Cooper Union (diretta dal
        più
        anziano Hedjuk), in Texas (che aveva visto insegnare Rowe nella sua
        fase
        della trasparenza), a Columbia e più avanti alle
        università
        di Harvard, Carnegie-Mellon, Maryland, Illinois, Ohio State. Il suo
        approccio
        all'insegnamento naturalmente è molto diverso da quello abituale
        condotto da architetti professionisti che spesso negli Stati Uniti
        conducono
        i corsi di progettazione. Eisenman ha una dirompente forza di
        penetrazione
        nei discenti (miei ex studenti passati al suo corso me ne scrivevano
        ammirati
        ed entusiasti) che deriva dalla naturale "energia didattica" della sua
        stessa architettura e dalla sua fortissima base teorica. Egli focalizza
        l'insegnamento su concetti, modi di operare, parole chiave tutte
        interne
        al proprio sistema (graft, folding, scaling che negli anni va
        affinandosi
        e cresce): un gergo che stupisce e infastidisce dall'esterno, ma che in
        realtà è assolutamente indispensabile per direzionare le
        esplorazioni progettuali dei singoli quanto per trarre dall'insegnare
        un
        necessario feed-back. Naturalmente alcuni studenti diventano satelliti
        del suo sistema di pubbliche relazioni ma sono gli stessi circoli
        intellettuali
        delle prestigiose università in cui insegna che si trasformano
        in
        potenziali committenti: in una prima fase per le case degli stessi
        professori,
        più oltre per gli edifici dei campus.  Un punto decisivo di
        coagulo di iniziative è l'Institute
        for architecture and urban studies che co-fonda nel 1967 a New York (e
        dirigerà sino ai primi anni Ottanta e con un picco di
        popolarità
        e di successo alla metà degli anni Settanta con la presenza di
        personalità
        come Rossi Tafuri Scolari Tschumi, Koolhaas e Fujii. L'Iaus è
        un'istituzione
        atipica: tribuna per teorici, architetti, artisti ma anche atelier per aspiranti architetti che vogliono compiere un internato fuori dalla
        strutture accademiche o rigidamente professionali. L'Iaus, registrato
        tra
        le istituzioni dello Stato e in un primo momento agganciato al Museo
        d'arte
        moderna della città , diffonde culturalmente le posizioni di
        Eisenman
        e poi dei Five, si apre alla presenza di altre vedette internazionali,
        ma dall'altra, e in collaborazione con l'Urban development corporation
        della città, promuove e realizza alcuni interventi abitativi su
        cui torneremo inseguito.  Questo quadro in
        movimento trova in diverse riviste una
        tribuna ("Perspecta", "Casabella" y eccetera) ma è Eisenman
        stesso
        che, naturalmente, oltre al mensile informativo "Skyline" non
        può
        che fondare (1973) una rivista trimestrale che diventerà cult:
  "Oppositions", il titolo, è naturalmente alla moda tra gli anni
        Settanta e Sessanta (cfr. le nostre "Contropiano" e "Controspazio"),
        con una sensibile differenza però. Diversamente dalle riviste
        italiane
        fortemente ideologizzate e politicizzate, le "Opposizioni" di Eisenman
        non saranno mai di ordine politico ideologico ma solo frizioni tra
        sistemi
        diversi del pensiero cui abbiamo prima fatto cenno (ed ecco anche il
        perché
        della presenza di architetti come Rossi e Scolari nella rivista) Egli
        rimarrà
        fedele a un agnosticismo ideologico di fondo. Al massimo la sua etica
        corrisponde
        alla buona fede: "Io onestamente credo che quello che sto facendo non
  è
        solo per me, vi è un bisogno che sia fatto. C'è una
        moralità
        nel farlo" (Eisen 92 p. 107). L'individualismo quale etica. D'altronde
        lui stesso definisce l'architettura in Europa come motivata
        dall'ideologia,
        quella americana, invece, dal business. Potremmo anche dire che
        in un caso l'architettura è sociale nell'altro, appunto,
        individuale.
        La cultura per Eisenman è architettura: La sua azione culturale
        non può che essere, essa stessa, affare.  Ma di che stupirsi,
        perché giudicare moralisticamente
        ciò?. Il problema è cosa egli propone, cosa rappresenta
        di
        pregnante, e soprattutto, (lui stesso non se ne dolerà di
        certo),
        come estrarre chirurgicamente dal corpo della sua teoria e dei suoi
        edifici
        organi vivi.  3. Nascita dei Five  Questo intreccio di
        iniziative, posizioni, frequentazioni,
        rifiuti e interessi, intuizioni disciplinari e soprattutto
        extra-disciplinari
        si afferma attraverso il lancio e l'affermazione di cinque architetti
        di
        New York .  A un simposio al Museo
        d'arte moderna di New York (MoMA)
        del 1969, Kenneth Frampton presenta al pubblico i cinque, tutti tra i
        trenta
        e i quaranta anni. Oltre ad Eisenman, Michael Graves (nato nel 1934)
        John
        Hejduk (1929), Richard Meier (1934) Charles Gwathmey (1938).
        L'operazione
        in realtà è una geniale auto-promozione perché il
        tutto avviene all'interno della Case (Conference of the architects for
        the study of the Environment) co-fondato nel 1964, naturalmente da
        Eisenman
        stesso.  Nel 1972 un volume
        miscellaneo con il nome di "Five Archiects"
        sancisce l'esistenza, se non di un gruppo, di una impostazione comune
        ai
        cinque progettisti e contemporaneamente al volume si apre una mostra al
        MoMA che andrà anche in altri paesi. Eisenman appare da subito
  "l'anima
        teorica", come di lì a poco dirà Manfredo Tafuri, che
        dedicò
        attenzione e straordinario acume critico ai cinque architetti a partire
        dalla prima pubblicazione su "Oppositions" del 1974 sino al volume Five
          Architects N.Y. del 1976. ((( DOPO? Se Eisenman è il teorico
        e il terrorista formale, Graves è un illusionista, Meier un
        meccanico
        delle funzioni, Hediuk un prestigiatore che lancia e poi raccoglie i
        suoi
        pezzi nello spazio, Gwatney associato con Siegel, un colto
        mediatore.)))
        Rappresentano visti insieme un mondo dell'architettura senza più
        riferimenti ideologici, chiuso entro le coordinate del linguaggio di
        cui
        sperimentano i limiti con un piacere estetizzante: non masochistico,
        perché
        hanno successo, ma senza dubbio un poco sadico. Certo non è lo
        storico
        italiano che vuole indicare strade o destini ma "è proprio per
        tale
        esperienza del limite, per i loro eccessi, vale a dire, che
        essi
        ci interessano: l'eccesso è sempre portatore di conoscenze"
        (Tafuri
        76 p. 10)  Al fenomeno della
        promozione dei giovani architetti partecipano
        sul fronte del sostegno Arthur Drexler, direttore del MoMA che
        organizza
        la mostra e introduce il catalogo, Colin Rowe, ormai affermato critico,
        il più giovane Frampton, nel decennio successivo teorico del
  "regionalismo
        critico" ma che in questa fase continua a professare e si occupa in
        particolare
        di residenze popolari, William La Riche e oltre oceano lo stesso Tafuri
        mentre, sul fronte altrettanto importante della negazione,
        organicamente
        necessario per giustificare "l'apparato pubblicitario messo in moto per
        lanciare il gruppo", vi sono architetti come Romaldo Giurgola, Robert
        Stern,
        Alan Greenberg che evidentemente criticano da tutti i fronti:
        l'irragionevolezza,
        l'esclusivismo, l'estraneità al contesto statunitense,
        l'invivibilità
        delle costruzioni: soprattutto quelle prodotte dallo stesso Eisenman.  In maniera abbastanza
        sorprendente visto il percorso che
        abbiamo descritto, l'anima teorica del gruppo, riesce a presentarsi al
        pubblico non solo via il suo apparato concettuale, ma anche con alcune
        costruzioni che realizza per committenti sofisticati (accademici o
        professionisti
        di alto livello) affascinati dalle sue teorie. La sua progettazione in
        questa fase si concentra, come è prevedibile, sui meccanismi
        sintattici.
        La costruzione, la funzione, la carica ideologica che all'architettura
        era stata attribuita viene congelata per esaltare il gioco astratto
        delle
        parti. Il nesso forma segue funzione è spezzato: i due termini
        che
        facevano centro sull'uomo vivono ora un rapporto dialettico e uno
        scontro
        nihilista. Il progetto si auto-definisce nella dimensione teorica del
  "testo"
        e le quattro case realizzate tra il 1968 e il 1975 non aggiungono nulla
        a quanto previsto nell'ideazione.  Non sono pertanto le foto
        delle costruzioni, i disegni
        ortogonali del progetto o i plastici il centro delle sue esposizioni,
        quanto
        i numerosi diagrammi assonometrici che illustrano i passaggi evolutivi
        (generativi) dell'opera. Una prassi di smembramento all'indietro del
        progetto,
        disegnata, in un'era pre-Cad, apparentemente in modo maniacale. In
        realtà
        per una ragione fondamentale. Eisenman sa che la merce del mondo
        occidentale
  è la conoscenza (lo abbiamo detto prima ripercorrendo brevemente
        il ventaglio delle sue iniziative) e quindi essa deve essere anche
  "formalizzata";
        resi espliciti, trasmissibili e comunicabili i meccanismi di
        legittimazione
        dell'opera. Assieme agli schemi nasce così una formula che
        colpisce
        come una frustata e fa guardare il mondo delle costruzioni con una
        lente
        diversa. Cardboard architecture. Architetture di Carta   3. Partiture
            di carte e
 di dadi
 1 Peter Terragni Eisenman tra il 1967 e il 1983 progetta una diecina di
            case di cui ne riesce a realizzare cinque. Come composizioni musicali,
            i progetti portano un numero progressivo e possono essere divise in
            cicli.
            Il primo, dalla House I alla House IV (1967-1975) aderisce alla formula
            della Cardboard Architecture e corrisponde grosso modo alle
            mostre
            collettive (e ai volumi) dei NY Five, il secondo termina nel 1978 con
            la
            rinuncia da parte del cliente di costruire House X cui aveva lavorato
            dal
            1975, l'ultimo, che si intreccia con altri progetti, comprende tre
            opere
            e si conclude con la Fin d'Ou T Hous S: gioco di parole tra fine di
            tutte
            le case, e fine di Agosto. Quello del 1983 che chiude il capitolo.
 Le prime quattro case
        vogliono essere "di carta" (letteralmente
        sarebbe "di cartone") non tanto per il loro aspetto leggero, quasi
        immateriale,
        quanto per sottolineare il substrato concettuale, autoreferenziale che
        le ha generate. Gia detto La formula, (letteralmente sarebbe
  "architettura
        di cartone") congelando già nella titolazione tutti i
        significati
        culturalmente e storicamente attribuiti al progetto, sottolinea che
        architettura
  è veicolo e non fine e che la fondazione teorica del
        progetto-testo
  è molto più importante dell'effettiva costruzione e certo
        degli eccentrici committenti.  Ma i numeri sul foglio
        bianco della Conceptual architecture
        non sono più sufficienti quando si deve fare un progetto.
        Adottare
        un linguaggio si impone perché , come gli altri Five in questa
        fase,
        Eisenman non ne possiede uno proprio. Con sicuro intuito, allora,
        pre-sceglie
        quello meno usato e consumato nel contesto statunitense del momento.
        Rowe
        lo aveva mosso alla riscoperta del Purismo lecorbusieriano, del
        Neoplasticismo
        e soprattutto del Razionalismo di Terragni, Lingeri o Cattaneo,
        praticamente
        sconosciuto oltre l'Atlantico e, almeno sino al 1968, poco o nulla
        indagato
        nella stessa Italia. Sono coordinate relativamente omogenee che combina
        e porta al limite studiando alcune tecniche compositive proprio
        dell'autore
        della casa Giuliani-Frigerio. Non a caso, l'opera più
        formalistica
        della produzione dell'architetto di Como.  Le Corbusier e
        soprattutto Terragni rappresentano una
        provocazione esotica, (perché Wright è americano, Aalto
        troppo
        simile al primo, Gropius e Mies completamente americanizzati, Kahn agli
        antipodi culturalmente). È un dislocamento che determina (se
        accettato)
        valore e status. Ma è anche un'operazione che necessita di vaste
        e onnivore conoscenze e soprattutto della imponderabile
        sensibilità
        culturale che fa guardare gli impressionisti alle stampe giapponesi,
        Picasso
        e Braque alle maschere negre, Capogrossi e Burri ai moduli ripetibili
        della
        città o alla materialità stessa dell'architettura, un
        quarantenne
        newyorchese a un quasi sconosciuto architetto italiano, morto
        tragicamente
        giovanissimo, e che diventa per lui, ma non sarà il solo,
        ossessione:
        sogno, incubo desiderio. 
 
 
 
 Nella House I e
        soprattutto nella House II Eisenman affronta
        una questione di natura formale che ha origine nel suo alter ego.
        Sempre
        interessato alle differenze, alle frizioni, alle opposizioni egli
  è
        attratto da due opere del comasco in contrasto l'una all'altra. Tra la
        Casa del fascio e la Giuliani Frigerio (le uniche tra l'altro su cui
        pubblicherà
        qualcosa) l'opposizione si basa sul diverso meccanismo di
  "stratificazione"
        che le ha generate. Nella Casa del fascio è un processo che
        parte
        dall'esterno (la forma stereometrica del prisma) verso l'interno.
        L'esito
  è noto. Pur conservando la presenza del semicubo primitivo
        Terragni
        riesce a conferirgli un tensione astratta (con partiture a tutta
        altezza
        che si alternano asimmetricamente nei fronti) quanto dinamica,
        (perché
        i diversi spessori delle stratificazioni sul volume invitano
        continuamente
        ad una esplorazione del prisma). In una parola, è un processo di Estrazione,
          operato attraverso intagli geometrici di diverse dimensione e di
          profondità
          variabile .  La casa Giuliani Frigerio
        invece è basata su un
        processo di esplosione. La stratificazione non
          si
          muove da fuori a dentro ma all'inverso. L'esito è lo slancio
          dinamico
          dei piani e dei volumi che non vengono più trattenuti da alcuna
          virtualità originaria ma invadono lo spazio. Il problema, per un
          ricercatore di nuove tensioni quale Eisenman, è quello di
          lavorare
          dentro questa differenza, dentro questa tensione tra estrazione
        e esplosione. Presentare il problema, farcelo
          conoscere,
          dargli evidenza. I progetti delle sue prime case diventano a tutti gli
          effetti due saggi di architettura, il cui tema, come negli scritti,
  è
          di natura strettamente linguistica. Gli esiti di questa riflessione,
          fatta
          questa volta con le armi del progetto, saranno incomparabilmente
          più
          ricchi e profondi dei saggi su "Perspecta" e "Casabella"  Diciamo subito
        però che in House I (padiglione
        Barenholtz) a Princeton del 1967-1968 questo conflitto è appena
        accennato. L'edificio destinato a mostra di giocattoli presenta la
        tipica
        rigidezza di alcune opere prime, un corbusierismo di maniera e forse il
        suo dato più interessante è l'organizzazione ad "L" del
        vano
        interno e il trattamento nella doppia altezza del vano centrale che
        reinterpreta,
        ma in maniera originale, il sistema a telaio del grande salone della
        Casa
        del fascio.  
 Nella House II (Residenza
        Falk a Hardwick 1969-1970) che
        epidermicamente è certamente avvicinabile al Neoplasticismo
        presenta
        invece il conflitto delle due opere "opposte" di Terragni. Eisenman
        riprende
        da la Casa del fascio l'idea di un quadrato in pianta che viene
        compresso
        in alzato nello stesso rapporto di 1/2 adoperato da Terragni. Ma il
        semi-cubo
        che egli genera non è più stereometricamente compatto
        perché
        viene modulato tridimensionalmente in nove quadrati che vengono abitati
        di nuovo lungo una "L" (una geometria estranea alla Casa del fascio e
        alla
        Giuliani Frigerio e raramente adoperata da Terragni, ma che in Eisenman
        avrà ulteriori sviluppi) e lasciati liberi nella doppia altezza
        della corte interna. Questo mondo interno, nella stessa presenza di
        parti
        libere e di geometrie dinamiche basate sulla "L " spinge verso
        l'esterno
        e si scontra con il sistema a telaio che trattiene la pressione
        dinamica
        esercitata dalle parti.  La stratificazione dei
        volumi, generata dallo scalettamento
        dei cubi ad "L", a volte arriva in facciata a volte si ferma
        presentandosi
        come puro scavo. Il sistema che trattiene e quello che spinge entrano
        in
        conflitto con raddoppiamenti della struttura e con la creazione sui due
        lati della "L" di uno spazio interstiziale occupato da un lato dalla
        scala
        dall'altro da uno spazio libero sorta di diaframma a tutta altezza. Una
        soluzione quella dello slittamento e sovrapposizione dei moduli
        quadrati
        per lasciare posto alla circolazione verticale e orizzontale anch'essa
        derivata da Terragni e che Eisenman adotta anche in alzato:
        cosicché
        all'incertezza palese della House I nel ricavare il sistema delle
        bucature
        qui corrisponde la precisione dettata dalle diverse tensioni che
        generano
        l'opera.  La perimetrazione
        esterna, richiama la presenza della
        forma primaria e lo stesso uso del telaio della Casa del fascio, ma
        l'interno
        mette in azione lo slancio dinamico della Giuliani-Frigerio. Il telaio
        esterno di conseguenza non definisce più come nella Casa del
        Fascio
        intagli geometrici sul cubo ma diventa un piano astratto, una struttura
        trasparente lasciata all'esterno per trattenere i piani e i volumi che
        esplodendo vorrebbero eliminare la gabbia.  La soluzione che Eisenman
        dà al conflitto che aveva
        scoperto in Terragni ha una parola: Implosione.
          Una
          esplosione delle pareti, dei piani, dei volumi che però non
          invade
          l'esterno ma è rivolta all'interno, verso il dentro, verso se
          stessa.
          Una violenta reazione chimica viene trattenuta ed esaminata dentro una
          provetta. Naturalmente si può riflettere ulteriormente "sul
          significato"
          di questa operazione: un'architettura ormai divenuta solo linguaggio
          che
          esplode su stessa e anche come le parole di "Virtualità" o di
  "Presenza
          dell'assenza" (quest'ultima di Jencks) sono in realtà sfocate
          per
          l'operazione implosiva scoperta da Eisenman.  
 Se le scoperte si muovono
        mettendo insieme tensioni o
        problemi che non erano dati in quanto tali prima della nascita
        dell'opera,
        si potrebbe dire che questa casa "dà una soluzione" a una
        tensione
        presente, ma non isolata prima quale "Tema".  Il viaggio nel progettare
        chiarifica il problema, lo enuclea,
        ne trova una soluzione. ("Arte è risolvere problemi che non
        possono
        essere formulati fino a che non sono risolti" con le parole di Piet
        Hein).
        House II dà una chiave critica per comprenderlo e a ritroso per
        reinterpretare le fonti. In altre parole, il suo lavoro vero su
        Terragni
        non sono i due articoli, (importanti "storicamente" per la loro
        pionieristica
        lettura sintattica, quanto deludenti oggi) o il libro fantasma promesso
        dal 1976, addirittura presente in Bibliografia (come, Giuseppe
        Terragni,
        Cambridge, 1985) ma mai in circolazione anche se una nuova Casa
        editrice
        lo riannuncerà, senza risultati, nel 1992. Il suo vero lavoro
        saggistico
        su Terragni è House II.  2. Differenze e
        Diagrammi  A questo punto si
        capirà meglio come il problema
        delle Implosione scoperto da Eisenman è
          diverso
          da quello di altri protagonisti della scena anni Settanta.  Le popolarissime case
        dell'architetto ticinese Mario Botta
        elaborano una dialettica di contenitore-contenuto.
          Il primo segue un andamento stereometrico e una volumetria pura, il
          secondo,
          invece, articola i piani, i livelli, gli spazi. Stereometria e
          dinamismo
          convivono l'uno dentro l'altro perché il contenitore è
          una
          scatola svuotata entro la quale si colloca uno scrigno articolato e
          libero.
          (Più avanti questa meccanismo verrà svilito attraverso
          tagli
          assiali e simmetrie classicheggianti del contenitore che banalizza le
          tensioni
          tra il sistema esterno e quello interno).  Le case di Hejduk
        elaborano una delle componenti del purismo
        Le Corbusieriano, (i volumi puri) innestandovi le tarde composizioni
        urbanistiche
        del maestro (come quelle di Chandigarh): oggetti a reazione poetica (a
        volte prismatici, più spesso ad andamento ondulato e mistilineo)
        non sono racchiusi in volumi unificanti ma lanciati nello spazio e
        collegati
        da meccanismi di percorso che anch'essi diventano oggetti. I pezzi di
        questo
        gioco di PRESTIGIO possono continuamente
          variare posizione
          nello spazio, in un incessante rincorrersi. (È un'operazione
          simile
          a quella compiuta da Gwathmey, che se perde in rigore sintattico
          acquista
          concretezza nel mediare l'assunto linguistico con le necessita del
          programma,
          del sito, della costruzione.)  Le prime case di Graves
        sono apparentemente le più
        simili a quelle di Eisenman derivando entrambe dal medesimo filone, ma
        piani spazi e forme giocano con il collage, con una presenza quasi
        surrealista
        di panelli dipinti e soprattutto con un uso prezioso del colore lontano
        dall'ascetismo didattico del nostro. Il puro "talento" di Graves, la
        sua
        capacità inventiva sono tutti orientati verso una sorta di ILLUSIONISMO percettivo stimolante in questa fase quanto stucchevole più
          avanti
          (quando il suo talento si rivolgerà al monumentalismo
          corporativo
          e alla riscoperta della tradizione eclettica americana).  Le case di Meier invece
        partono dal programma funzionale
        e organizzativo. Il bianco è il non-colore che adotta sempre e
        il
        suo comporre astratto si basa in realtà su una nuova forma di
        figurazione.
        Non più quella tradizionale degli elementi e dei punti di vista
        privilegiati, della simmetria e degli ordini, ma bensì quella
        delle
        funzioni. I collegamenti interni, le rampe, le scale, gli spazi serviti
        con le grande vetrate e quelli di servizio nei volumi pieni sono le
        basi
        del suo comporre. I risultati sono buone architetture, ma in fondo
        prevedibili
        perché scaturite da certezze che raramente spingono la ricerca
        nei
        territori del difficile e dell'incerto. Meier è in questa fase
        un
        abile e dotato Meccanico delle funzioni come
          dimostrano
          i diagrammi, (programma, struttura, circolazione, geometria) che sempre
          accompagnano i suoi progetti. 
 
 
 
 Proprio i diagrammi
        esplicativi di Meier dimostrano per
        contrasto la natura di quelli di Eisenman. che, nonostante la loro
        presunta
        didatticità, sono maschere. Nel loro asettico susseguirsi essi
        ripercorrono
        le mosse di un ipotetico gioco che poco o nulla ha che vedere con la
        complessità
        del reale ragionare sul progetto. Male si farebbe a interpretare le sue
        case fidandosi di questi diagrammi assonometrici (e vieppiù
        degli
        scritti dell'autore). La ragione prima dei disegni non è critica
        (che, come autore, non è tenuto a fare), né autocritica
        (l'unica
        legittimato a compiere, e che invece, mai farà) ma
        pubblicitaria.
        Sono strumenti in quella campagna di legittimizzazione di cui abbiamo
        parlato.
        Senza stampa, mostre o studenti sarebbero inutili. Ma questi schemi
        promozionali,
        questi diagrammi di gioco non solo non servono criticamente ma
        ingenerano
        nel progettista stesso un grosso equivoco: quello tra una mossa
        arbitraria
        (ma rivelatrice) e una semplicemente errata, in cui la partita-progetto
        viene persa. È quanto avviene con la House III. 
 
 3. Perversioni
        dell'arbitrario.  Trovato e poi risolto con
        efficacia un autentico nodo
        sintattico con la House II, Eisenman va in cerca di nuove avventure che
        si muovono esattamente in questa dimensione "di gioco" dei diagrammi La
        forzatura del carattere di testo dell'architettura, il suo svincolarsi
        dalle usuali parametri di controllo costruttivo e funzionale gli
        permette
        di fare perno sul concetto di arbitrarietà. È quanto
        avviene
        nella Casa III (Lakeville 1969-1971).  
 Si parte anche in questo
        caso da un cubo questa volta
        diviso in tre fasce. Poi si ripete l'operazione sul lato contiguo
        determinando
        18 quadrati complessivi (nove per piano). A questo punto, ecco la mossa
        arbitraria: perché non inserire su questa struttura un nuovo
        cubo,
        magari ruotato di 45 gradi? L'origine di questa decisione è
        arbitraria,
        non è dettata da ragioni di alcun tipo eccetto quella della
        sperimentazione
        pura. (Estranei a Eisenman sono gli assunti del simbolismo funzionale
        della
        casa Esherick y di Kahn o quelli della creazione di un esterno dinamico
        conformato dalle rotazioni delle fabbrica come nel villaggio di y
        Charles
        Moore e Mltw) Poco male se, dopo una prima verifica, l'idea venisse
        abbandonata
        oppure se si scoprissero, strada facendo, delle inaspettate valenze. Ma
        questo non avviene, perché l'architetto non rinforza questa
        mossa
        arbitraria con alcuna altra scelta e anzi la ibrida ulteriormente,
        rivelandone
        la gracilità, creando gli spazi abitati sia lungo la diagonale a
        45 gradi del nuovo cubo che lungo un lato dell'asse originario. Certo,
        nasce un conflitto, una tensione tra queste due geometrie. Ma è
        solamente quella dell'arbitrio che si ripresenta tautologicamente in
        quanto
        tale. La struttura diventa sovrabbondante, doppia, tripla, non per
        rivelarci
        una tensione tra i due sistemi in contrasto della House II ma
        semplicemente
        quale derivazione della scelta che l'ha generata. L'architettura non
  è
        più un testo, neanche un pretesto, ma un solitario gioco di
        carte
        che non può che far pensare a una pratica onanistica y. La
        partita
        del progetto è persa.  Naturalmente tutto
        può essere teorizzato se alle
        capacità di retorica si aggiunge una spruzzata di cinismo. E qui
        si teorizza lo straniamento del cliente, il suo essere un intruso che
        entra
        in uno spazio non suo. Gli abitanti debbono compiere un processo di
        appropriazione
        di un oggetto ad essi estraneo. Questo farebbe scattare "un senso di
        esclusione
        che lavora dialetticamente per generare un nuovo tipo di
        partecipazione-progettazione".
        Buchi nel pavimento della camera da letto, scale che si muovono al
        contrario,
        tavoli a cui non si riesce ad accedere. Una architettura sbagliata
        viene
        teorizzata attraverso presunti valori contenutistici che si erano
        preliminarmente
        esclusi dal proprio universo contraddicendo la contraddizione in un
        vortice
        di non sense.  Le montagne possono
        essere scomposte nei volumi puri della
        sfera, del cilindro, del cono e del cubo. Nascono le tele del Moint y
        Saint
        Michel. Le bagnanti di Cezanne incontrarsi con le maschere primitive
        africane.
        Nascono le Demoseilles y d'Avignone. Le regole dell'astrattismo, di per
        se estranee a ogni tensione ideologica, possono essere accoppiate alla
        rabbia civile per un massacro. Nasce Guernica. Sperimentare frizioni
        tra
        distanti è la chiave per nuove conoscenze. La partenza
        può
        apparire arbitraria, l'arrivo sancisce l'assoluta necessità di
        quella
        scelta. Nella ricerca (artistica, ma non solo) tra "il caso" (che
        può
        essere anche generato arbitrariamente) e "l'arbitrio" sino alla
        rappresentazione,
        addirittura edificata, dei se stesso vi è una differenza. In
        questa
        House III, una mossa arbitraria non conduce a nulla se non a
        ripresentare
        se stessa..  Sono riflessioni che
        possono avere interesse relativo:
        il fatto importante è che è Eisenman stesso che comprende nei
          fatti la differenza Troppo intelligente per imbottigliarsi in un
        cunicolo
        senza uscita opera infatti un'immediata retromarcia.  La House IV, infatti, fa
        un passo indietro e ritorna al
        tema scoperto nella House II. L'Implosione qui è risolta in
        maniera,
        in stile, in una quasi graziosa esercitazione e nel modo tutto sommato
        più naturale: uno spazio quadrato centrale con gli ambienti
        principali
        distribuiti su livelli sfalsati e uno spazio a corona esterna che
        contiene
        un secondo diaframma. Naturalmente questo diaframma si svuota o si
        chiude,
        varia leggermente, a volte manca completamente. per far percepire tutta
        la profondità dello spazio. Un'opera estremamente ben
        congegnata,
        che rivela con didattica evidenza come risolvere il problema, ma che
        anche,
        per questa sua stessa sicurezza, rischia di innestare, una routine, un
        modo di procedere, uno stile che il giustamente irrequieto Eisenman
        rifiuta.  4. La casa del
        pendio. Eisenman wrightiano?  House VI, y Ga, cui
  "Global Architetcure" ha dedicato
        un numero monografico, introduce acerbamente una strada diversa. Poco a
        noi interessa la centralità di cui parla Gandelsonas che
        però
        vede giustamente in questa casa un cambio di direzione alla
  "successione
        dei piani verticali" delle altre opere. Quello che appare chiaramente
        in
        questa casa è un procedere non più per piani ma per
        volumi
        o meglio il coesistere di "scatole volume" sovrapposte o scalettate
        svuotate
        in alto o in basso, ma appunto non più piani ma volumi. È
        un'azione che l'architetto non ha la lucidità di portare alle
        estreme
        conseguenze e che coesiste con bizzarre travi in aggetto a mo' di
        cornicioni
        o basamenti e dall'altrettanta incongrua presenza di setti liberi
        (fragilissime
        memorie delle operazioni linguistiche tutte diverse compiute nelle
        opere
        precedenti). È una maniera embrionale, inconsciamente
        contraddittoria,
        di cercare un tema nuovo. (allo stesso modo dell'incerta House I
        rispetto
        alla affascinante House II). Per capire l'incertezza di House VI
        dobbiamo
        vedere il problema aggredito. È quanto avviene con la House X
        (Bloomfield
        Hills Michigan), le altre evidentemente, almeno agli occhi dell'autore,
        non presentano alcun interesse visto che non sono state pubblicate
        né
        appaiono nei regesti delle opere.  
 House X, iniziata nel
        1975 ma a cui Eisenman continua
        a lavorare per alcuni anni, apparentemente seppellisce il problema
        terragniano
        del conflitto tra la forma primaria e la dinamica dei piani esplosi, e
        poi trattenuti. La casa si presenta come una composizione di volumi in
        masse estremamente articolate che si muovono tutte verso l'esterno per
        una libera conquista dello spazio. La tempesta in un bicchiere della
        implosione
        appare superata. Negli sbalzi, (mai usati prima) negli angoli svuotati,
        addirittura nelle tessiture diverse dei materiali (è la prima
        volta
        che il materiale entra effettivamente in gioco) il progetto sembra
        muoversi
        semmai in una poetica wrightiana, almeno in quella di certe opere
        californiane
        degli anni Venti, o forse, ancora di più, nel manifesto della
        stessa
        Falling Water. Ma questo riferimento, del tutto evidente a guardare gli
        esiti, non nasce da uno studio critico o teorico, come per Terragni, o
        da una esotica riscoperta del maestro di Chicago, ma avviene, quasi,
        per
        forza di cose.  Eisenman infatti per la
        prima volta non appoggia i suoi
        candidati oggetti "sopra" un vassoio isotropo, omogeneo e in fondo
        assente,
        ma del suolo valorizza la componente orografica (un sito che declina) e
        quindi le viste che si generano. La sua architettura appartiene a quel
        luogo è, wrightianamente appunto, "di" quella collina.  Questa poetica per volumi
        esplosi (il piano libero come
        il telaio sono quasi seppelliti) si basa, su un percorso anulare che,
        legando
        tra loro le varie situazioni del lotto, attraversa in discesa la casa
        suddividendola
        in due blocchi. Il percorso incontrando la casa si trasforma in una
        scala,
        i cui pianerottoli generano altri due blocchi distinti per lato. Una
        mossa
        questa volta "centrata": innanzitutto funzionalmente, perché i
        quattro
        quadranti, creano spazi altamente fruibili, collegati tra loro dalla
        spina
        in discesa ma ognuno autonomo (zona giorno, studio, sala di servizio,
        camere
        separate per gli ospiti per i circa 730 mq complessivi). Mentre il
        percorso
        attraversa l'intera casa per poi continuare a legare tra loro altri
        episodi
        sull'area, (la piscina, il padiglione d'entrata, i garage) ogni blocco
        abitato è dotato di un proprio sistema di scale che permette di
        accedere al livello superiore con stanze o terrazze sull'intera
        superficie
        coperta o solo su delle porzioni. I quattro quadranti staccati e a un
        tempo
        collegati si possono articolare in differenti altezze e far dialogare i
        diversi materiali. Eisenman vi userà sia le reti (poi tipiche di
        Gehry) che i rivestimenti in panelli di alluminio (che saranno la
        griffe
        di Meier) ma anche gabbie modulari vetrate che dal percorso fuoriescono
        lateralmente.  Il progetto dimostra come
        si possa superare il conflitto
        trovato nelle due opere opposte di Terragni e, attraverso una fase di
        incertezza,
        comunicare una nuova persuasiva idea. L'opera anticipa una
        peculiarità
        di quello che sarà l'Eisenman maturo. La capacità di fare
        concretamente architettura tenendo alto il tiro della riflessione
        teorica.
        Al di là della consapevolezza dell'autore, in fondo
        trascurabile,
        si noti come questa casa segni una strada nuova rispetto a due
        importanti
        assunti. Quello del famoso schema wrightiano di "ogni uomo il suo
        castello"
        (quattro case autonome e indipendenti ma generate da uno schema
        cruciforme
        a cui ciascuna è legata su due lati) e quello del Danteum.
        Terragni
        nell'edificio emblema per Dante divide il rettangolo in quattro
        quadranti
        che differenzia anche in sezione per generare le aule a diverse quote
        delle
        cantiche. La figura della croce è organizzazione interna,
        smistamento
        e filtro tra le sale. Ma mentre Terragni e Lingeri racchiudono la
        composizione
        in un prisma, e Wright non dà alcuna evidenza spaziale al nucleo
        geometrico che genera le quattro case, Eisenman spinge wrightianamente
        i quadranti all'esterno dando al contempo valore di fenditura allo
        schema
        organizzativo che presiede al Danteum. Che qui non solo ha ragioni
        spaziali,
        distributive e funzionali ma rimanda a intriganti relazioni con il
        sito,
        alla circolazione interna ed esterna, al modo stesso di usare la casa.
        Un'opera vera e riuscitissima.  5. Trivellazioni nell'inconscio.  Ma Eisenman non prosegue
        neanche questa volta anche se
        le ragioni dell'abbandono di una via così promettente, non sono
        di natura squisitamente disciplinare. Il cliente nel 1978 decide di non
        realizzare l'opera e l'architetto, frustrato, comincia a scavare dentro
        se stesso attraverso la terapia psicoanalitica: un altro classico del
        manhattanismo.
        Il perenne sperimentatore Eisenman è per giunta spiazzato
        dall'ondata
        nostalgica (vi torneremo) e dal travolgente successo del vecchio amico
        Graves, (ironizzerà sul cognome - in inglese "tomba" - in un
        articolo
        dal titolo Graves of the Modernism del 1978). Si attorciglia in
        manovre di politica culturale nello Iaus, che comincia ad agonizzare, e
        soprattutto abbandona la strada ottimistica di House X per cercare
        nuove
        origini e motivazioni del suo progettare. Lo scavo nella propria
        personalità,
        nel proprio rimosso ebraismo, nella ricerca costante di mentori si
        muove
        dalla Io al lavoro di progettazione in un una evidente, quasi
        letterale,
        continuità. I progetti diventano come scavati, affondati nel
        suolo
        (inconscio, passato, ombra) da cui emergono faticosamente i volumi.
        L'architettura
        implosa su stessa, quella organicamente aperta e slanciata di House X,
        ora va a trivellare il suolo per cercare le ragioni per riemergere da
        una
        fase di incertezza.  
 Tipico di questa fase
  è il progetto di House XI
        che inserisce più volte a mo' di padiglione nel progetto di
        Venezia-Cannaregio
        variandone ad ogni replica la scala. La casa da una parte usa la nuova
        ricerca sul volume e sui materiali (emergono due tessiture: uno vetrato
        con montanti molto ravvicinati come una serra e un secondo invece
        monolitico
        e senza apertura che si intreccia sovrapponendosi al prima) dall'altra
        manifesta una intenzione di radicarsi alla profondità. Il
        progetto,
        (originariamente per la casa dell'amico Kurt Forster) sfrutta l'antico
        interesse per le geometrie ad "L" muovendole però su tre
        dimensioni,
        sovrapponendole e ruotandole a spirale con la figura dell'elica o
        meglio,
        bisognerebbe dire, della trivella.  Sempre per il progetto di
        Venezia-Cannaregio disegna un
  "Contextual Object" che toglie quel minimo di rassicurante presenza del
        padiglione di House XI . Si presenta come una casa-sezione: un pozzo di
        trivellazione. Come non pensare alla follia analizzata da Foucault, che
        Eisenman cita ora ripetutamente, o alla famosa citazione del teatro
        della
        follia di Y Marat Piet Heiss y. Nel fosso buio del rivoluzionario
        deluso
        Marat, per uscire ci si può aggrappare solo ai propri capelli.
        Ma
        per uscire bisogna chiudere un ciclo. Dopo aver sperimentato con House
        eleven Odd giochi sulla rappresentazione stessa (una casa che è
        una assonometria) questo compito è assolto da Fin d'Ou tous
        House.
        L'opera elabora gli stessi temi delle precedenti (trasformando le "L"
        in
        un cubo mancante di una parte) . Vi riappare, a chiusura di un ciclo
        aperto
        quindici anni prima, il motivo del telaio terragniano. Siamo nel 1983,
        in un anno di svolta anche dal punto di vista personale.   4. Dislocare
            il Post
 1. Sterro, tracciati, metafore
 Agli inizi degli anni
        Ottanta Eisenman appare chiuso in
        sperimentazioni , di scarso interesse se si esclude il nuovo,
        dislocante,
        rapporto con la psicoanalisi, ma in fondo tutto privato e personale.
        Alcuni
        critici descrivevano le poche case realizzate come un insieme di forme
        invivibili (con clienti che decidono di "non abitare" le case da essi
        stessi
        commissionate) che non potevano influenzare la produzione
        dell'architettura
        soprattutto se confrontate alle molte realizzazioni degli ex compagni
        di
        strada dei NY Five (Richard Meier con il suo rigoroso Neo-razionalismo
        ma soprattutto Michael Graves con la sua architettura neo-decorativa).  Il motivo della crisi di
        questi anni, in parte vi abbiamo
        già fatto cenno, è a un tempo personale e generale. Siamo
        all'apogeo del Post-moderno (Po.Mo). Un fenomeno che approda anche alla
        Biennale veneziana del 1981 y attraverso la sorprendente convergenza
        tra
        la metafisica rossiana e il neo-barocco portoghesiano. Gli assunti del
        Po.Mo, come erano stati sistematizzati nel 1977 y in un fascicolo di
  "Architectural
        Design", non erano però del tutto privi di interesse. La
        costruzione
        del critico britannico Charles Jencks tendeva a ricomporre in una nuova
        era di libertà, di apertura antidogmatica una serie di rivoli
        del
        dibattito architettonico dagli anni Cinquanta in poi: dallo storicismo
        italiano di Albini e Gardella al partecipazionismo di Erskine o Kroll,
        dal vernacolare pop di Venturi, alle esperienze Morph, dallo
        strutturalismo
        di Piano e per altri versi di Safdie, alle esperienze del Taller de
        arquitecture
        con il giovane Bofill o quelle del Mltw e di Charles Moore. Da una
        parte
        si rivendicava l'autonomia della ricerca estetica (ancora, per molti,
        meccanicisticamente
        dipendente dalla funzione); dall'altra si poneva con grande forza in
        primo
        piano il concetto di Luogo di matrice organica.  Ma "Autonomia estetica" e
  "Luogo" invece di far avanzare
        la ricerca verso nuove strade di ancora maggior consapevolezza,
        ricchezza
        e libertà espressiva verranno appiattite (soprattutto quando
        interverrà
        ad arbitro della varie tendenze Philip Johnson), in un nuovo dogma.
        Viene
        valorizzata la componente più trita tra quelle presenti
        nell'originaria
        miscela: la classicheggiante e neo decorativa impostazione dello stesso
        Johnson e del suo famoso ITT, di Venturi, di Moore, di Graves, di
        Stern,
        poi di Krier e del suo Principe. Il "luogo" serve per teorizzare
        presunti
        ambientamenti nostalgici, la ritrovata "autonomia espressiva" per
        legittimare
        pastiches neo-decorativi.: una formula che soprattutto negli Stati
        Uniti,
        ma anche un poco in Gran Bretagna e in Francia, ebbe una sua fase di
        successo
        commerciale.  Eisenman naturalmente
  è spiazzato da questa tendenza.
        Nel corso degli anni Settanta non ha sviluppato una effettiva rete di
        relazioni
        professionali o uno studio strutturato che gli permetta di chiudersi in
        una fase di resistenza e di autonomia (come quella di Meier o di Pei in
        questo momento) perché si è concentrato maggiormente
        nella
        promozione delle sue numerosissime iniziative che, pur se a volte
        ecumenicamente
        onnivore, risultano ormai perdenti rispetto alla grande ondata del
        ritorno
        alla Storia. Ha la coerenza intellettuale - lui che spesso viene
        imputato
        del contrario - di non abbracciare avventure, di non volersi
        epidermicamente
        riciclare.  Ma la crisi è
        anche personale perché l'ormai
        cinquantenne Eisenman non può considerasi né un
        architetto
  "credibile" (troppo poche, di modestissima scala e in fondo "teoriche"
        le sue prove), né un autentico studioso (non ha prodotto alcun
        testo
        di peso ma solo alcuni articoli provocatori) mentre la sua azione di
        promozione
        culturale soprattutto come direttore dello Iaus si avvolge in
        estenuanti
        giochi di politica culturale (dice che non gli interessa il potere, ma
        il "gioco" della sua conquista). Eisenman comprende che la situazione
  è
        senza via di uscita: che bisogna rifondare cambiare nel profondo .
        Sembra
        quasi mettere in atto su se stesso la formula derridiana che muove la
        sua
        psicoanalisi. "Non buttiamo via le cose rigettiamo o che ci preoccupano
        o ci creano ansietà, cerchiamo di capire perché le
        vogliamo
        eliminare". Comincia così a decostruire lentamente molti aspetti
        della sua esperienza.  Eisenman ha sempre
        rifiutato classicismi, simmetrie, revival
        stilistici, ma il fenomeno Po.Mo non può essere rimosso come se
        nulla fosse. Per essere superato, non può essere solo rigettato,
        ne vanno capite in profondità alcune ragioni, per
        metabolizzarle,
        trasformarle andare avanti.  Ora, dell'autonomia
        linguistica egli era stato un precursore,
        ma sul concetto di luogo posto dal Po.Mo alla ribalta egli deve trovare
        una propria declinazione che non sia quella mimetica e ambientalista,
        di
        una banalità paragonabile ai disarmanti esiti. L'idea su cui
        ragiona
        (e di cui abbiamo visto l'anticipazione nelle ultimo ciclo delle case)
        può essere condensata nella formula dello "Sterro archeologico":
        un riscoprire alcune ragioni del fare architettura in una dimensione di
        luogo "concettuale", come un disseppellire le storie dei luoghi
        scoprendo
        geometrie abbandonate, perdute o soltanto immaginate. Lo strumento per
        questo lavoro si chiamerà tracciato: reticoli spaziali e
        ordinatori,
        griglie complesse stratificate e sovrapposte come in un palinsesto (le
        vecchie carte medievali su cui si scriveva cancellando, ma non
        completamente,
        i testi più antichi) che ne costituirà per alcuni anni il
        principale strumento di lavoro.  Ma vi è un altro
        aspetto portato alla ribalta dal
        Po.Mo per autolegittimare le opere dei suoi autori: quello dei presunti
        valori "collettivi", pubblici, di immagine che l'architettura di
        origine
        cubista del secolo aveva rimosso e che invece da Venturi a Graves a
        Johnson
        si vogliono ritrovare in un conclamato ritorno alla Figurazione contro
        l'Astrazione. Via libera allora agli elementi riconoscibili di
        identificazione
        collettiva del pubblico: i timpani, le edicole le colonne i portici,
        quando
        non le grandi statue a mo' di acroteri y. Anche su questo Eisenman, che
        non può non sentire un viscerale rifiuto; pensa, riflette, e
        trova
        una sua soluzione, che cambia i termini della medesima questione.  La strada è quella
        della metafora. L'architettura,
        pur conservando intatta la sua valenza astratta nella relazione tra
  "segni"
        senza significato proprio, narra anche una sua storia, trova origine in
        una intuizione di cui l'edificio, pur se attraverso una serie di
        complessi
        intrecci spaziali tecnici, funzionali e costruttivi, conserva e rimanda
        presenza.  È quanto avviene
        con il primo edificio importante
        che realizza a Berlino ovest accanto al muro all'epoca ancora
        esistente.
        L'opera ripresenta l'idea di frattura, di lacerazione sia nei tracciati
        con cui è sagomata l'elevazione che nella stessa dinamica
        frammentazione
        delle masse. 
 2. Stratigrafia a
        Berlino.  Nel 1982, quello dei suoi
        cinquant'anni, Eisenman si sgancia
        da una serie di impegni culturali e promozionali, dopo una lunga agonia
        si dimette dalla direzione Iaus, chiude "Oppositions", decostruisce la
        propria vita familiare, e allo stesso irrobustisce lo studio (dal 1987
        Eisenman architects) perché la proposta di concorso per l'Iba a
        Berlino che aveva guadagnato il primo premio l'anno prima passa alla
        fase
        realizzativa. È il suo primo edificio importante perché
        una
        piccola Stazione dei pompieri a Ohio State realizzata nello stesso arco
        di tempo, si rivela assolutamente deludente.  Il palazzo per
        appartamenti, completato nel 1985, sorge
        in un punto importante della città (Checkpoint Charlie,
        adiacente
        al muro tra est e ovest) e completa l'angolo di uno dei grandi isolati
        della città. In questa occasione l'architetto deve accettare la
        complessità del programma funzionale perché i clienti non
        sono più gli eccentrici intellettuali delle case unifamiliari.
        Gli
        appartamenti sono serviti da una scala comune posta nel retro del
        fabbricato
        e sono distribuiti da un ballatoio che si ripete nei sette piani. I
        bagni
        e le cucine sono lungo il percorso, mentre gli ambienti affacciano
        all'esterno.
        Lo schema è funzionale, fornisce le dimensioni e i tagli
        richiesti,
        risponde agli standard normativi tedeschi e, attraverso l'andamento
        mistilineo
        del perimetro, rende ogni casa speciale. Alla base del progetto questa
        volta non sono tanto i meccanismi sintattici della architettura di
        carta,
        ma appunto l'idea dello sterro: tracce stratificate nei luoghi che,
        ritrovate
        quasi archeologicamente, conformano il progetto. Per cui l'edificio
        usando
        le parole dell'architetto è come "sollevato" da un terreno
        archeologico,
        le masse "sono letteralmente fossili fuoriusciti dal piano orizzontale
        del terreno", che lasciano incise nella terra le tracce della loro
        precedente
        esistenza (articolazione della pianta) mentre "svolgono il racconto
        della
        loro storia nelle facciate." Queste ultime dunque diventano delle
        sezioni
        stratigrafiche, dei pezzi di materia riemersi (e cercano di presentarsi
        come tali anche se, naturalmente con i necessari compromessi legati
        all'uso).  
 A guardare l'edificio
        realizzato, naturalmente, si può
        essere convinti sino a un certo punto dalla bontà e soprattutto
        dalla effettiva risoluzione di queste, per altro opinabili, idee. Ma
        bisogna
        ricordare che la costruzione è solo un frammento della proposta
        complessiva, ben più articolata e interessante, che investiva
        l'intero
        isolato. Il progetto presentato al concorso proponeva una strategia di
        modifica di "town design" con nuovi intriganti spazialità e
        nuove
        funzioni sia lungo il perimetro che all'interno dell'isolato. Era, come
        legittimo aspettarsi da Eisenman una relazione dissonante, "per
        contrasto"
        tra le nuove costruzioni e quelle che già esistenti. L'isolato
        ottocentesco
        era investito da un sistema di reticoli ruotati di 15 gradi rispetto
        alla
        maglia ortogonale esistente. La nuova geometria creava una successione
        di spazi interni, di percorsi di collegamento che determinando nuovi
        invasi
        mistilinei e inglobava nella sua nuova trama gli edifici esistenti.
        Apparentemente
        un nuovo gioco formalista, in realtà un esercizio geometrico ma
        che determinava spazi che alla naturale tensione dinamica derivata
        dall'incrocio
        dei suoi sistemi geometrici associava la possibilità di una
        soddisfacente
        risoluzione funzionale (come dimostra il frammento realizzato).  
 Questo progetto mostra un
        rapporto critico, dinamico,
        di cambiamento rispetto all'esistente, dà una lente con cui
        guardare
        alla città consolidata ma con fuoco al futuro e non solo al
        passato
        di cui però non cancella le tracce. Il concetto di Luogo, viene
        fatto reagire con altre suggestioni (le griglie hanno motivazioni nella
        lettura a palinsesto della città, la presenza del Muro viene
        riassunto
        a emblema metaforico dell'edificio eccetera) senza aderire alla troppo
        facile "memoria" o alla riproposizione "mimetica" dell'esistente in
        parte
        presenti in altre proposte dell'Iba.  3. Collage di
        tracce.  Questa idea dello sterro
        archeologico, dei tracciati da
        riscoprire e portare alla superficie per strutturare il progetto si
        ripresenta
        in una proposta per il Parco della Villette realizzata con la
        consulenza
        di Jacques Derrida e che viene a integrarsi con il programma tecnico e
        architettonico della realizzazione di Bernard Tschumi. È una
        serie
        di dislocamenti e sovrapposizioni di griglie su un'area di circa 210
        metri
        per 270 che hanno origine da frammenti di storia rintracciate nelle
        mappe,
        o in costruzioni poi demolite. Coesiste così l'idea del
        mattatoio
        che vi insisteva o quello delle mura che in quel punto circondavano la
        città. L'esito è un intrigante collage, fa pensare ai
        lavori
        di Mimmo Rotella y che scorticava i manifesti pubblicitari che negli
        anni
        erano stati sovrapposti l'uno all'altro, ma manca di una strutturazione
        spaziale convincente. Eisenman ricorre per spiegare le presunte valenze
        del progetto al valore intellettuale dell'esperienza. Si tratterebbe di
        un progetto non-autoritario: "Vi erano due siti, uno a Parigi
        l'altro
        a Venezia (anch'esso per coincidenza un'area con un mattatoio). Un
        architetto
        franco-svizzero, Le Corbusier, va a Venezia e vi inserisce la sua
        griglia,
        un architetto americano [Eisenman stesso] raccoglie quella griglia e
        l'allunga
        dal Mattatoio a Cannaregio. Un altro architetto franco-svizzero
        [Tschumi]
        va a Parigi e mette sull'aria del mattatoio una griglia astratta come
        quella
        di Le Corbusier, e chiama un architetto americano [Eisenman stesso] ad
        inserire una nuova griglia sopra la sua griglia. Quindi naturalmente io
        metto la mia Griglia di Cannaregio sopra la griglia della Villette.
        Nessuno
        può prendere autorità o merito per l'operazione o per chi
  è arrivato prima".  
 La descrizione è
        sintomatica: da una parte ricorda,
        giustamente, che l'idea dei tracciati e dello sterro archeologico, ha
        origine
        nel 1978, nel progetto di Concorso che fece per Venezia Cannaregio
        (dentro
        cui pose la sua House XI), ma vi è anche una sottile
        rivendicazione:
  è indubbio che la realizzazione di Tschumi alla Villette deve
        più
        di qualcosa alla pionieristica soluzione eisenmaniana del 1978. Quindi,
        con una tecnica retorica di una certa sofisticazione, Eisenman enuclea
        dei fatti (di cui è protagonista), che in realtà
        smentiscono
        la tesi che, apparentemente, si vuole sostenere: "Nessuno può
        prendere
        autorità o merito per l'operazione o per chi è arrivato
        prima".
  È vero il contrario: è ad Eisenman che si deve l'aver
        trovato
        questa direzione, questo metodo di lavoro sui tracciati, le griglie i
        palinsesti.  Ma nonostante le
        affascinanti autogiustificazione, i numerosi
        rimandi di alter ego psicoanalitici e il sottile gioco con Tschumi il
        progetto
        come dicevamo rimane deludente. Il gioco con la griglia portato
        all'estremo
        e giustificato come "non principio di autorità" spinge di nuovo
        Eisenman contro il muro, come i diagrammi giocati arbitrariamente
        avevano
        portato alla House III. Naturalmente bisogna cercare altre direzioni
        anche
        questa volta e Eisenman lo farà.  Il progetto per il Wexner
        center, invece del parossistico
        e intellettualistico gioco di griglia e sterro presentava, sia pure in
        embrione, anche una nuova idea. Quello dello spazio "tra" le cose:
        naturalmente
        generate per frizione e non assonanza e che si evolverà
        più
        in là in ancora più convincenti progetti.  4. Il "tra"  La realizzazione dello
        Wexner center for Visual Arts a
        Columbus, si completa nel 1989, ma nasce da un concorso ad inviti nel
        1983.
        Eisenman incunea tra gli edifici esistenti del campus una struttura
        reticolare
        tridimensionale che da spazio di risulta diventa il nuovo fulcro
        simbolico
        e funzionale del progetto. Malignamente si mormorerà che la
        fittissima
        rete di relazioni pubbliche intessuta sin dagli anni Settanta comincia
        a dare i suoi frutti: in questo caso con l'affermazione nella
        Competizione.
        In realtà, anche ad una rapida occhiata, il progetto presenta
        una
        soluzione strategica di grande interesse per gli stessi amministratori
        dell'Università.  Il programma richiedeva
        una serie di attrezzature (un
        teatro, spazi per esposizioni temporanee e permanenti, uffici, un
        caffè,
        studi e laboratori per un totale di 130.000 metri quadri) che né
        museo, né uffici, né laboratori propriamente detti vede
        l'arte
        come un processo continuo dalla fruizione alla produzione. Ne deriva la
        caratteristica "di percorso" dell'edificio: un'idea che ha una sua
        storia
        (anche americana: basti pensare alla spirale del Guggenheim di Wright e
        alla risposta lecorbusieriana dove una rampa letteralmente attraversa
        l'edificio
        del Visual Art Center di Harvard). Ma oltre a strutturare un edificio
        percorso,
        naturalmente anche in questo giocando con la rampa, il progetto di
        Eisenman
        si rafforza attraverso altre due scelte.  
 La prima è quella
        di articolare l'edifico non solo
        sulla spinta di una forza interna, o di una limitrofa situazione
        morfologica,
        ma attraverso due Tracciati regolatori: quello della città e
        quello
        del campus universitario. Basterebbe, forse, quale base del progetto
        perché
        le due geometrie sono ruotate l'una rispetto all'altra ed esercitano
        dunque
        una tensione deformante nel progetto. Ma è una nuova idea quella
        vincente.  Invece di proporre la
        costruzione in un lotto libero del
        campus, Eisenman memore dell'innesto urbanistico compiuto a Berlino, inventa un luogo conficcando la costruzione tra due edifici: l'auditorium e il
        museo propriamente detto. Una operazione di densificazione che si
        contrappone
        allo spreco di nuove aree, e vitalizza gli amorfi retri di servizio
        degli
        edifici derivati dalla lottizzazione del campus.  Del tutto naturale, da
        queste premesse, la soluzione.
        L'architetto fa penetrare tra gli edifici del campus una maglia
        reticolare
        tridimensionale: una costruzione-percorso che trasforma lo spazio di
        risulta
        in nuovo fulcro simbolico e funzionale del progetto. Lungo una rampa
        che
        vi scorre, si snodano i percorsi e i fatti espositivi, si accede agli
        edifici
        esistenti sui due lati e alle estremità a una serie di
        attrezzature
        richieste dal programma. L'idea dello spazio "tra" le cose come
        strategia
        di progetto (lo chiamerà, teorizzandolo anche negli scritti, "il
        between") fa così con questo progetto, la prima cosciente
        comparsa.  Ma il progetto presenta
        anche grosse incertezze. La principale
        consiste nell'adoperare la vecchia idea di telaio, che caratterizzava
        la
        sua fase terragnana, all'interno della nuova concezione. Pur se la
        strategia
        del connettere con il percorso, dell'incunearsi tra aree di risulta, di
        sfruttare geometrie esistenti è valida, l'esito spaziale
        determinato
        dallo scontro tra geometrie tridimensionali a telaio (con gli
        inevitabili
        incroci, raddoppiamenti e i famosi pilastri tagliati) ricorda un poco
        l'arbitrario.
        La griglia tridimensionale, lo capirà oltre, non è lo
        strumento
        per plasmare i cavi. L'esito spaziale è lo scontro fine a se
        stesso.  Il secondo limite con cui
        il progetto si scontra è
        nel conformare lo spazio esterno. La soluzione è molto debole su
        entrambi i lati. In quello a nord y è la riproposizione di
        volumi
        differenziati e tagliati a mo' di sezione: una composizione mediamente
        interessante ma incapace di raffigurare una chiara articolazione
        dell'esterno.
        Sul fronte opposto, invece, si gioca con le improbabili memorie di
        bastioni
        militari precedentemente nell'area che vengono ricostruiti con una
        tecnica
        volutamente falsa e provocatoria. Al di là della pregnanza
        culturale
        dell'operazione rimane il problema. Questi pezzi addossati alla testata
        mostrano che Eisenman non ha sviluppato una strategia per affrontare un
        dettato dell'architettura: la creazione dello spazio pubblico
        attraverso
        la manipolazione volumetrica e spaziale dell'edificio stesso.  5. Il futuro del
        passato  Sembra aggredire il tema
        della creazione dello spazio
        pubblico nel più gehriano dei suoi progetti. Il Museo di Arte
        nel
        campus di Long beach, in California. Il rapporto tra Frank Gehry e
        Eisenman,
        al di là della concorrenza e della tensione tra i due o delle
        manifestazioni
        espositive che li hanno visti associati (come quella alla Biennale
        venezia
        del 1991), quali figure di assoluto spicco nella scena architettonica
        statunitense
        e quindi mondiale, va un attimo inquadrato.  
 Gehry opera una sintesi,
        la più alta di questo
        scorcio di fine millennio, di tre componenti presenti ma distanti tra
        loro
        nella cultura architettonica americana.  La prima componente
  è palese. È il filone
        della pop art, che nel suo caso si muove nella riscoperta non tanto dei
        presunti valori "popolari" alla Venturi, ma in un uso tattile di
        elementi
        semplici, poveri, triviali. È una accanita sperimentazione, a
        lungo
        condotta in sordina, che inventa un nuovo spazio espressivo per
        materiali
        poco usati in edilizia e che rivela al contempo una straordinaria
        sensibilità
        scultorea ed espressiva. La stessa di John Johansen. Questa seconda
        ascendenza,
        di cui poco si parla ma che non è sfuggita a Paul Heyer,
        sarà
        fondamentale in Gehry. Johansen, autore del famoso Mummers Theater y,
        crea
        composizioni estremamente dinamiche, esplose letteralmente nello spazio
        in una logica che ne segna anche il cammino di evoluzione futura.  Ma detonatore della
        miscela tra estetica povera e dinamica
        scultorea è una nuova concezione dello spazio pubblico. Gehry fa
        tesoro delle ricerche di alcuni architetti californiani e in primo
        luogo
        di Charles Moore. Tra gli anni Sessanta e Settanta Moore opera una
        interessante
        riscoperta. I volumi puri sotto la luce della tradizione
        lecorbusieriana
        portavano con sé (soprattutto nelle banalizzazioni delle
        periferie
        di tutto il mondo) allo scollamento tra edificio e spazio. Il primo
        diventava
        un volume puro, dimensionato e pensato per le sue valenze funzionali ed
        espressive autonome. Il secondo era un vassoio verde, isotropo omogeneo
        non più sagomato come nella precedente tradizione della
        città
        in cavi e invasi formati dagli edifici stessi. Moore, anche ispirato da
        costruzioni rurali e vernacolari sparse per il mondo, come dalle grande
        architettura tardo romana di Villa Adriana, riscopre invece la
        possibilità
        di architettare le relazioni tra gli edifici per creare spazi aperti.
        Edifico
        e spazio pubblico vengono pensati di concerto per determinare sequenze
        spaziale e funzionali che si proiettano dall'esterno all'interno e
        viceversa.
  È un'idea con risvolti scenografici, delicata da gestire. Tanto
  è vero che la pur grande intelligenza di Charles Moore
        finirà
        con il cadere nelle risibili parate delle sue piazze d'Italia. Ma
        ciò
        nondimeno è una idea nuova che Gehry assorbirà
        naturalmente
        trasformandola (è la terza componente di cui dicevamo).  Le sue architetture
        pertanto nascono quasi sempre da un
        incrocio tra un materiale tattile, "pop", (ma anche sensibile al
        contesto,
        come nella pietra del suo centro americano a Parigi) montato con
        esaltanti
        contrastati e con sapienza nuovissima; composizioni esplose nello
        spazio
        alla Johansen ma che fanno sempre centro su un concetto di spazio
        conformato,
        creato dagli edifici: la "L" che si apre sulla strada del padiglione
        ospedaliero
        di Yale a New Haven, il nuovo foro della facoltà di legge della
        Loyola University, la stradina interna del centro commerciale di Santa
        Monica. Ma la genialità di Gehry va ancora oltre, perché
        questi nuovi cavi circondati dai suoi luccicanti volumi si
        arricchiscono
        d'improvviso di oggetti d'arte. Come i grandi cavi barocchi entravano
        in
        dialogo organico con le barcacce, le fontane dei Fiumi e le cascate
        animate
        di Trevi. L'arte pura riacquisisce un posto: naturalmente con le
        valenze
        d'oggi. Il grande pesce di Barcellona o del ristorante a Los Angeles,
        il
        binocolo gigantesco, l'aereo appeso alla parete del museo.  Questa capacità di
        conformare con l'architettura
        lo spazio pubblico, nel 1986 aveva già dato più di una
        prova,
        ma su questa tema i progetti di Eisenman sono disarmati. L'operazione
        sia
        a Berlino, che nel Wexner a Columbus, è tutta di
  "densificazione"
        mentre assenti sono tecniche di "diraradazione" che possono permettere
        la definizione dei cavi. È del tutto naturale: perché
        mentre
        l'origine dei cavi di Gehry è nello stage set, lo strumento di
        Eisenman
        per attaccare il vassoio corbusierano è la griglia. Un concetto
        appunto di densificazione e di controllo spaziale che ha la sua origine
        nelle nuove esperienza della casa bassa ad alta densità (dagli
        svizzeri
        di Atelier 5 a Louis Sauer, un altro brillante allievo di Kahn come per
        altro erano stati Moore e Venturi).  Ora mentre sia nel
        progetto di Cannaregio che nella Villette,
        e nello stesso Romeo e Juliet a Verona del 1985, Eisenman non ha
        coscienza
        effettiva di come creare lo spazio pubblico, nel bellissimo museo
        d'arte
        per l'università California State a Long Beach egli pone in
        essere
        un incrocio tra la manipolazione spaziale di Gehry e i tracciati
        regolari,
        le griglie, gli sterri che gli sono propri: gli stessi un poco gratuiti
        bastioni del Wexner qui, gehrianamente, si trasformano in significanti
        macrosculture (nella fattispecie un percorso sopraelevato, come un
        molo,
        e una torre, che ricorda quelle di estrazione del petrolio). I vari
        tracciati
        usati per modellare il progetto con la tecnica del palinsesto derivano
        di nuovo dalle planimetrie storiche dell'area (il ranch che vi
        preesisteva,
        il campus) insieme alle planimetrie della famosa faglia californiana e
        poi il fiume, la costa, il canale. Ma non è il collage o il
        palinsesto
        il solo motore dell'operazione perché le tracce entrano in
        relazione
        con l'organizzazione spaziale. Una cavea diagonale (allo stesso tempo
        percorso,
        elemento paesaggistico, giardino di sculture all'aperto e
        organizzazione
        degli eventi museali che vi si addossano) e un percorso sopraelevato a
        mezzaluna che la attraversa collegando un nuovo padiglione espositivo e
        una struttura preesistente nell'area.. Una doppia geometria, secca e
        ben
        risolta, che come al Wexner va a ridosso di un edifico inglobandolo in
        una nuova relazione. Cavea diagonale e mezza luna proiettano linee di
        forza
        negli altre angoli del sito legando insieme, il parco preesistente,
        altri
        edifici, un nuovo lago. Rimane uno dei più ricchi e intriganti
        progetti
        di Eisenman. Assolutamente dissimile da quelli di Gehry, ma anche
        capace
        di metabolizzare la lezione dell'amico rivale nella creazione di un
        nuovo
        fulcro che fa da perno alle diverse e complesse geometrie di un museo
        calato
        nello spazio e nel paesaggio.  In Eisenman come in Gehry
        rientra dunque, attraverso una
        contaminazione di ben sofisticato livello intellettuale, il momento del
        racconto. "La verità e la metafora possono essere messe in
        discussione
        - scrive derridianamente nel 1989 - non sbarazzandosene, ma entrandoci
        dentro, esaminando criticamente la loro struttura" (Eisen 89a p. 214).
        I progetti ormai si muovono dal testo-testo della prima fase al
        testo-racconto
        ma strutturalmente molteplice, complesso polidirezionato. 
 
 5.Rivoluzione
        permanente e grandi conquiste 1. lotta al Cubo
 In realtà Eisenman
        sembra essere percorso da un
        fremito elettrico. Già abbiamo notato il suo costante bisogno di
        sperimentazione, di novità. Mentre in artisti come Gehry, le
        componenti
        fondamentali dopo essere state individuate circa tre lustri fa, si
        affinano
        e perfezionano nelle nuove occasioni, Eisenman cerca sempre una nuova
        sfida,
        un nuovo dislocamento. Nel cammino egli usa, per poi abbandonare,
        tecniche
        di progetto che lasciano a chi voglia raccoglierle una spesso vitale
        traccia
        di lavoro.  In maniera sempre
        più accelerata nel corso della
        seconda metà degli anni Ottanta le "scoperte" sono numerose.
        Filosoficamente
  è vicino alla teoria di Derrida (che sostituisce il ruolo di
        ispiratore
        che aveva avuto Colin Rowe nella formazione, Chomsky nell'analisi
        strutturale
        e Foucault nella indagine sulla modernità). Comincia a essere
        attratto
        verso la geometria non-euclidea e la teoria del caos: studia i
        frattali,
        il Dna (il padre è stato un eminente bio-chimico), .gli atomi
        leibniziani
        y, la geometria booleana. Proprio questa geometria oltre a strutturare
        integralmente un progetto avrà ulteriori sviluppi nel suo lavoro
        e quindi merita una pur brevissima delucidazione.  La geometria booleana
  è dinamica, quanto quella
        euclidea è statica. Se un cubo viene traslato nello spazio si
        possono
        creare molteplici sistemi di assi derivanti dall'unione dei vertici del
        cubo iniziale con quello spostato. Dal legame virtuale tra i due,
        nascono
        infatti una serie di prismi deformati, con assi anche non ortogonali
        tra
        loro: una geometria quindi a più dimensioni, nata dal movimento.  Oltre a tutti i prismi
        deformati che si possono ottenere
        dall'unione dei vertici traslati, si può operare anche sui due
        cubi
        originari considerandone le reciproche risultanze tridimensionali
        quando
        si varia il segno "+" o "?" attribuito a ciascuno. Le "operazioni
        booleane",
        (termine che dovremo riusare) sono tre: la prima è di Incastro
        (la
        nuova figura tridimensionale è formata dal primo cubo più
        il secondo cubo, entrambi con segno positivo); la seconda è di
        Sottrazione
        (un cubo, con segno negativo, erode la parte in cui si sovrappone al
        cubo
        positivo); la terza è di Intersezione (entrambi i cubi hanno
        segno
        negativo, la geometria risultante è solo l'area di
        sovrapposizione
        dei due).  Questa geometria (che
  è alla base di moltissime
        operazioni tridimensionali operate dai calcolatori) è usata da
        Eisenman
        per progettare i laboratori di ricerca di una delle università
        più
        conosciute al mondo per la ricerca sull'informatica e la robotica con
        l'evidente
        intento di rinforzare metaforicamente la natura dell'edificio. Il cubo
        booleano, è assunto a tema "dislocante" e allo stesso pertinente.  
 Il Carnegie Mellon
        research center (1987-1988), da una
        più ambiziosa e interessante ipotesi che si confrontava con la
        sinuosità
        del fiume (attraverso due linee di cubi di scala e di altezza diverse,
        che si sovrapponevano parzialmente in un doppio spessore), si riduce
        progressivamente
        di dimensione e al contempo si complessifica plasticamente (con una
        serie
        di operazioni di Sottrazione, Incastro e Intersezione e con una serie
        di
        altre strutture filiformi a ricordare le forme degli altri prismi
        virtuali
        derivati dal movimento) al punto da preoccupare gli amministratori
        dell'Università
        che affidano l'incarico ad altri progettisti. Realizzeranno due edifici
        distinti, uno elegantemente disegnato ma certo scarico rispetto alla
        proposta
        eisenmaniana, l'altro desolantemente trito.  
 I laboratori Biologici
        per la Goethe Università
        a Francoforte sul Meno, progettati nello stesso 1987, mettono in atto
        la
        stessa tecnica della "dislocazione pertinente". Qui alla geometria
        booleana
        del computer, si sostituisce una geometria "biologica": quella del Dna
        e dei Frattali. (Si tratta, in campo artistico, di principi come quelli
        elaborati da Susan Condé : "Mai ritrarre solo le utopie
        euclidee.
        Non sottolineare l'inizio e la fine, ma la ricorrenza e la
        molteplicità.
        Mai lo stato perfetto dell'essere, ma lo stato imperfetto del divenire.
        La ripresa in diretta della molteplicità e quindi le
        proprietà
        frattali dell'autosomiglianza e dell'infinito-finito").
        L'interpretazione
        eisenmaniana del Dna e del suo funzionamento si esplica attraverso tre
        processi: replica, trascrizione e traslazione. Al di là, come
        sempre,
        delle autolegittimazioni teoriche, il progetto propone una strategia
        più
        plausibile di quella di Pittsburgh. Ai cubi frammentati e costosissimi
        del Carnegie Center si sostituiscono sei blocchi di laboratori semplici
        e funzionali che si attaccano su entrambi i lati di una spina centrale.
        La spina è l'occasione per creare nuove più complesse
        geometrie
        e per articolare a V o a U l'attacco di corpi dei laboratori all'asse
        centrale.
        Il procedere della spina nel sito in alcuni casi spezza i blocchi in
        due
        parti, come nelle testata dell'accesso, in altri si spinge all'esterno
        come per indicare la regola della futura crescita dell'organismo, in
        altri
        si incunea tra i blocchi per formare le necessarie eccezioni
        (auditorium
        e servizi specialisti). La dialettica tra elementi ripetibili ed
        eccezioni
        (gli asimmetrici annessi della spina centrale) è l'inizio di una
        tecnica di riduzione pragmatica tra le necessità concettuali che
        muove l'ideazione e il doversi fare "realistico" del progetto.
        Avrà
        un seguito.  2. il cagnolino
        Balla sulla spiaggia  Ma in queste
        sperimentazioni, oltre alle scoperte delle
        griglie, dello sterro archeologico, del "tra", che rappresentano delle
        effettive acquisizioni portanti del suo lavoro, e ricerche in fondo
        laterali,
        dettate da una curiosità specifiche, come il cubo booleano, il
        frattale,
        il Dna, Eisenman scopre una tecnica di progetto di grandissimo fascino
        perché dà una risposta finalmente innovativa ad un
        vecchio
        problema della nuova architettura: il movimento.  La presenza del movimento
        come tecnica non più
        tanto di percezione non più statica (dal punto di vista
        privilegiato
        del cono prospettico rinascimentale) o quello di esplorazione dinamica
        della composizione spaziale ma proprio come tecnica di progetto.  Questo tema ha avuto nel
        secolo alcuni grandi momenti,
        tutti in vario modo legati alla rivoluzione einsteiniana: Spazio
  è
        Tempo. Lo spazio si misura con il tempo (vedi anni luce) cosi come
        Energia
  è Massa, elevata al quadrato con il valore della velocità
        della luce. In piccolissime particelle di materia è nascosta una
        energia misurabile con la stessa dimensione (temporale) con cui solo
        possiamo
        misurare le galassie: una scoperta, se si vuole la più grande
        tautologia
        del secolo, che porta alla scissione dell'atomo. Insieme a queste idee,
        spesso soltanto orecchiate dagli architetti, come più in
        là
        avverrà con lo stesso decostruzionismo derridiano, si associa la
        presenza della velocità quale dato strutturante la
        società
        industriale (treno, automobile, aereo). Cosicché le prime
        architetture
        che tenteranno di affrontare il tema del movimento saranno quelle,
        certo
        ingenue, dell'italiano Sant'Elia che fanno perno su ascensori in vista,
        strade che si intersecano agli edifici di centrali elettriche o
        fabbriche.
        Il costruttivismo russo teorizza una grammatica basata anche su questi
        concetti e Tatlin; dà forma a una avvolgente e mobile y
        struttura.
        Mendelsohn costruisce una torre in cui la trasformazione delle forze
        gravitazionali
        in campi deformati di Einstein y sembra prendere consistenza plastica,
        ma è con il Bauhaus di Gropius che l'assoluta evidenza di come
        un
        edificio possa essere percepibile solo attraverso il movimento
        diventa
        paradigmatica (perché l'idea delle masse distinte disposte
        centripetamente
        nello spazio si associa alla scoperta di un nuovo medium di relazione
        fluida
        e continua tra interno ed esterno: la trasparenza).  Ma oltre a queste idee e
        alle molte variazioni e repliche
        successive, il problema di come traslare il movimento in architettura
        rimane
        dopo il 1924 senza sostanziali sviluppi anche se alcune fluidità
        spaziali di Wright, o alcune strutture in precario equilibrio di
        Riccardo
        Morandi o gli stessi recenti edifici semoventi di Calatrava paiono
        riaprire
        una strada,. Ma sempre si tratta di una re-interpretazione "fisica" del
        movimento nell'architettura. La caratteristica immanente del movimento
        per conformare il farsi del progetto  Ora Eisenman, attraverso
        il suo incessante cercare, scopre
        una tecnica che, io sappia, mai ha avuto prima di lui uso in
        architettura.
        Si tratta del blurring, direi sfocamento, che diventa la chiave dello
        sviluppo
        di un progettare che usa il movimento quale tecnica del suo interno
        strutturarsi.
        Il movimento non viene "interpretato" via la fluidità della
        rampa
        del Guggenheim, il raggelamento dell'attimo prima del crollo del salone
        ipogeo di Torino, o l'aprirsi e chiudersi delle membrane del Padiglione
        alla Sswissbau, ma diventa l'ispirazione "concettuale" e allo stesso la
  "tecnica" con cui organizzare un nuovissimo modo di progettare.  L'origine è nel
        futurista italiano Giacomo Balla
        (la Donna con il cagnolino del 1912 y) ma l'immagine universalmente
        nota
  è la donna che scende le scale di Marcel Duchamp y 1916 y. Si
        ricorderà
        l'immagine. Una serie di sovrapposizioni della figura come in un
        fotogramma
        scattato con un tempo troppo lungo in cui i singoli movimenti sono
        sovrapposti
        (in Balla, vi torneremo, sono anche "sfocati"). È una tecnica di
        straordinaria interesse rimasta muta per ottanta anni in architettura.
        Sino ad Eisenman. Che, ed è molto strano per lui che ama
        teorizzare,
        proprio questa volta non rivendica l'importante paternità:
        l'aver
        trasmigrato per primo questa tecnica dall'arte figurativa a quanto di
        più
        solido esiste. Eisenman è qui, come devono essere gli artisti,
        parzialmente
        inconsapevole. O almeno, lascia a noi il privilegio di scriverlo.  
 Il Blurring (termine che
        non adotta, nel suo pur numeroso
        indice di parole chiave) fa la sua prima apparizione in un progetto di
        casa unifamiliare redatto nel 1988, a cinque anni dalla chiusura dal
        famoso
        ciclo delle case numerate. Si tratta della Guardiola House a Santa
        Maria
        del mar, sulla costa spagnola di Cadice. Di nuovo come House X è
        una casa sul pendio. In questo piccolo capolavoro Eisenman fa reagire
        molteplici
        suggestioni. Parla, nel testo che accompagna il progetto, del concetto
        classico di Topos come segno stabile dall'urbanesimo militare romano.
        Ma
        giustamente ricorda che una componente del mondo d'oggi è "avere
        una complessità dialettica estremamente più sofisticata
        (ëuna
        logica che contiene l'illogico') per cui il concetto di luogo deve
        contenere
        il concetto di Non Luogo." Sembra una delle tante disquisizioni
        cerebrali
        che si incontrano nei suoi testi, ma in questo caso l'esito è
        straordinariamente
        convincente. Eisenman ricorda il concetto platonico di Chora come
        qualcosa
        che c'è e non c'è e allo stesso tempo scatta la metafora
        illuminante. Chora è come le tracce delle onde sulla sabbia. Le
        onde del mare sulla spiaggia cui guarda questa casa, non sono un
        oggetto
        nello spazio "ma soltanto la registrazione di un movimento" che poi
        sarà
        cancellato e riscritto. Le tracce regolatrici, le memorie degli sterri
        archeologici si trasformano ora in questa impalpabile presenza, una
        assenza
        ogni volta riproposta attraverso la fragile presenza di un movimento.
        La
        stessa dello scodinzolio del cagnolino sulla tela.  Eisenman disegna
        così questa casa giocando proprio
        sul movimento ondulatorie della sua famosa "L" e le geometrie che
        nascono,
        vibrano, dondolano, ruotano una sull'altra in pianta, sezione, alzato.
        Attraverso questi movimenti si vengono a creare booleanamente (a volte
        con l'Incastro altre con la Sottrazione altre con l' Intersezioni) gli
        spazi funzionali della casa, (niente affatto assurdi), si forma il
        percorso
        che come House X attraversa scendendo la costruzione nasce,
        soprattutto,
        una nuova estetica della sfocatura attraverso la ripetizione traslata e
        sovrapposta della forma base prende forma.  Questa piccola casa
  è assolutamente inconcepibile
        senza una concezione del progetto teoricamente radicata, senza
        l'esperienza
        didattica dei suoi primi lavori, senza una sconcertante
        profondità
        di riflessione e una capacità (anche professionale) di
        conformare
        attorno a queste idee spazi credibile e la stessa costruzione. Ma la
        soluzione
        non è automatico risultato perché qui si fa Arte quello
        che
        in altri casi è pura legittimazione. Che le onde mare, che le
        tracce
        di quel movimento sulla sabbia possano rappresentarsi in architettura e
        darci un nuovo paradigma sul movimento è un esito entusiasmante.  3. Cavi Audaci per
        Insegnare architettura  L'edificio che deve
        contenere una Facoltà di architettura
  è un tema ricorrente negli Stati Uniti. Architetti di varie
        epoche
        (a partire dal primo: Thomas Jefferson) si sono incontrati con questo
        programma;
        basti pensare, oltre al famoso campus della Virginia, agli edifici
        Beaux
        Arts dei primi decenni del secolo, al campus dell'Itt di Mies, oppure
        alle
        opere in chiave brutalista come quella di Berkeley, o alle composizioni
        fortemente plastica di Rudolph a Yale o alla famosa inclinata vetrata
        di
        Harvard. Eisenman affronta questo tema in un progetto (College of
        Design
        Architecture and Planning, University of Cincinnati) che comincia a
        studiare
        alla metà degli anni Ottanta ma che giunge a maturazione solo
        nel
        1991 in un rapporto, questa volta, aperto "agli studenti, ai
        professori,
        agli amministratori e agli amici del college per definire un processo
        evolutivo
        alla fine del quale ognuno potesse dire "l'abbiamo fatto noi"". Al di
        là
        di questa nuova consapevolezza, (sembra che Eisenman sia diventato
        talmente
        sicuro da poter ora includere nel processo della progettazione
        quanti
        doveva in precedenza escludere) qui vengono usate in un programma
        complesso
        alcune delle idee che ha sviluppato negli ultimi anni. Presente, ad
        esempio,
  è l'idea dell'incunearsi tra strutture esistenti nel campus,
        quello
        dello spazio "tra" le cose, quella dello scaling. Ma l'idea base
  è
        la scoperta sulla spiaggia di Cadice .  
 Il progetto, doveva
        rispondere a una doppia esigenza:
        riorganizzare gli spazi della facoltà esistente e poi edificare
        altre attrezzature (biblioteche, sale mostre, teatri studi uffici) che
        ne raddoppiasse quasi la superfici utile. La prima idea è
        relativamente
        semplice. Alla struttura dell'edificio esistente, che si muove
        funzionalisticamente
        a zig-zag sul terreno, viene aggiunta una struttura ad andamento
        ondulato
        che contiene le nuove attrezzature. Ma l'idea geniale scatta solo dopo
        il progetto di Guardiola e consiste nell'applicare la tecnica del
        Blurring
        simultaneamente al nuovo fabbricato e a quello preesistente. Entrambe
        le
        geometrie di base vengono duplicate e ruotate con la tecnica del
        Cagnolino
        di balla. Nasce un moto ondulatorio doppio: uno più geometrico
        (quello
        del vecchio edificio) l'altro più fluente determinato dalla
        curva
        in cui si organizzano le nuove funzioni. Apparentemente una pura
        follia,
        ma il risultato è di sconvolgente novità e di grande
        interesse.
        Perché queste due geometrie, giocando con incastri sottrazione e
        intersezioni reciproche dettano la conformazione dei nuovi spazi, dei
        volumi
        delle stesse geometrie terrazzate o vegetali che si proiettano nel
        sito.
        Il progetto sembra un Yen sens y, il simbolo orientale dell'amore, che
        fa vibrare e fremere le forme una sull'altra in un incessante moto
        ondulatorio..  Ma vi è anche una
        differenza profonda rispetto
        al Wexner dove il movimento era rigido e lo strumento della griglia
        tridimensionale
        (che abbiamo criticato) poco adatto a conformare gli spazi. Qui a
        Columbus
        succede che i movimenti di traslazione e ondulazione delle due
        geometrie
        non solo si ripercuotono all'esterno, ma soprattutto all'interno. Allo
        scontro asettico delle gabbie modulari si sostituiscono spazi interni
        estremamente
        più complessi ricchi, affascinanti e novissimi. L'incrocio
        infatti
  è qui di volumi, plasmati differentemente e con libertà
        attraverso
        le ormai famose tre tecniche booleane. Sono spazi assolutamente
        sconvolgenti.
        Vi gioca la luce dall'alto di lato in fondo, i volumi assumono varie
        inclinate,
        i pilastri ritmano senza alcuna rigidità preconcetta i cavi.
        Sono
        spazi che danno effettivamente forma ad un pensare "concettualmente"
        all'architettura
        con una forza e un livello di complessità finalmente adeguato ai
        mezzi intellettuali che questi ultimi anni stanno elaborando. Il
        docente,
        lo studente, chi vi lavora non potrà che riflettere sul
        progettare
        il futuro. 
 
 6. Eisenman realista 1. Decostruire,
        ma cosa?.  Nel corso degli anni
        Ottanta alcuni architetti hanno lavorato
        controcorrente rispetto all'ondata del Po.Mo. che, nel frattempo,
        esaurita
        la novità iniziale, approda a fine decennio ai parchi di
        divertimento
        disneiani. In prima fila Eisenman e Gehry bisogna ricordare Rem
        Koolhas,
        olandese viaggiante in moto perpetuo tra le due sponde dell'oceano e
        fondatore
        dell'Oma che negli anni Settanta riprendeva in chiave provocatoria le
        utopie
        urbane degli Archigram; Daniel Libeskind, polacco dotato di una
        capacità
        squisita sulle sovrapposizioni e le tessiture grafiche, Bernard
        Tschumi,
        divenuto direttore della Facoltà di Columbia e autore del parco
        della Villette a Parigi, una geniale allieva di Koolahas a Londra,
        l'irakena
        Zaha Hadid. Attorno a queste personalità si muovevano in America
        alcuni gruppi come i californiani Morphosis e Arquitectonica, con base
        Miami. Ma anche in Europa vi erano fermenti in una nuova direzione
        frammentata,
        dinamica, violentemente anticlassica: in particolare nel lavoro del
        maturo
        ed esperto Gunnar Behnisch, autore delle strutture delle Olimpiadi del
        1970 a Monaco, di due austriaci che formavano lo studio Coop
        Himmelblau,
        e anche dei giovani spagnoli Miralles & Pinos Queste
        personalità
        erano minoritarie e spesso censurate, rarissimamente avevano trovato
        spazio
        in costruzioni o in mostre.  All'inizio della seconda
        metà degli anni Ottanta,
        un gruppo di studiosi americani (Paul Florian, Stephen Wierzbowski e
        Aaron
        Betsky) propone un progetto di ricerca con relativa mostra dal titolo Violated
          Perfection: The Meaning of The architectural Fragmentation che
        voleva
        raccogliere queste e forse anche altre personalità. Sostenere
        che
        l'idea della mostra, mai realizzata dai promotori, fu "rubata" è
        semplicemente assurdo. (Perché la necessità di
        valorizzare
        una sensibilità diversa rispetto alla "memoria" era ormai
        diffusa
        in moltissime roccaforti culturali e certo Eisenman in particolare ne
        era
        stato un ostinato avversario). Sorprendente però del grandissimo
        lancio internazionale dell'Architettura Decostruttivista sono due
        fatti.
        Il primo è che alla mostra realizzata al MoMA di New York nel
        1988,
        e anticipata da un simposio a Londra di "Architectural Design", venga
        dato il nome, appunto, di Deconstuctivist e il secondo fatto,
        ancora
        più forte, è che a Mark Wigley quale teorico della nuova
        tendenza si associ proprio Philip Johnson. Johnson, autore della famosa
        definizione di Wright, come il più grande architetto
        dell'ottocento
        e della relativa sottovalutazione alla mostra sull'International Style
        del 1932 (sì: 67 anni fa!), poi miesiano super fedele negli anni
        Cinquanta, neo-accademico classicista nell'Eur newyorchese del Lincol
        Center
        negli anni successivi, architetto neo-corporativo curtain wall negli
        anni
        Settanta è il nume tutelare del Po.Mo americano di cui dissemina
        prove in mezza nazione. Ora che proprio Johnson sia diventato il
        sostenitore
        di questa nuova tendenza iper-moderna sconcerta e senz'alcun dubbio
        legittima
        riflessioni sul destino dell'architettura nel paese del business.
        (Anche
        se Johnson, bisogna pur ricordarlo, possiede qualità
        assolutamente
        formidabili e Eisenman stimando e lavorando insieme a lui in molte
        occasioni
        di politica-culturale gli riconosce grande generosità e un ruolo
        di primissimo piano nel sostegno dell'architettura negli Stati Uniti).  Ma torniamo alla
        sorprendente etichetta "Decostruzionista".
        Il successo della formulazione si basa su una serie di assonanze che
        fanno
  "orecchio" ma, in realtà, si tratta di malintesi. Da una parte
        rimanda
        all'esperienza dei costruttivisti russi cui, senza alcun dubbio, alcuni
        tra gli architetti citati guardano (ma non Eisenman, né Gehry).
        Ma una "decostruzione" del costruttivismo è un assurdo in
        termini
        logici, storici e sintattici., (perché il costruttivismo russo e
        poi il Suprematismo sono estetiche che disassemlano per poi assemblare
        volumi e forme con estrema e dinamicissima libertà). Il legame
        sintattico,
  è tutt'altro che decostruttivo ma in particolare come (Tschumi e
        Hadid), quasi letterale: l'unica cosa che i decostruttivisti
        decostruiscono
        di quella esperienza è il valore politico-ideologico che Tatlin
        Ginzburg Chernikhov e Leonidov attribuivano al loro lavoro nella
        temperie
        rivoluzionaria della rivoluzione bolscevica.  Ma quello che elettrizza
        stampa, critici, pubblico è
        che l'etichetta Architettura Decostruzionista fa l'occhietto a uno dei
        pensieri filosofici più influenti degli ultimi anni: quello
        appunto
        di Derrida e di alcune personalità (....) in varie modo legate
        al
        filosofo francese. Ora su questo punto la tesi espressa da James Wines,
        escluso da Wigley e Johnson, forse anche di Eisenman, dalla mostra
        newyorchese,
  è convincente: tra la filosofia di Derrida e le opere esposte
        non
        vi è una reale affinità. Il decostruzionismo di Derrida
        abbisogna
        di un testo, possibilmente "classico" accettato per alcuni versi quale
        norma. Un testo, appunto, da decostruire facendo intervenire sistemi
        destabilizzanti
        (anche dalla scienza, dalla fisica, dalla psicoanalisi) e soprattutto
        dalla
        linguistica stessa. Per cui l'analisi decostruttiva alla fine,
        wittgensteinamente,
        scopre i limiti stessi del linguaggio che si scontrano con quelli della
        letteratura della filosofia della scienza delle arti.. Quindi una nuova
        totalità, una nuova circolarità anche se ormai senza
        centro
        e in cui la mente umana è un frammento di un più ampio
        schema
        di infinito disordine (entra il caos, come categoria e una assonanza
        alla
        teoria dei quanti su cui torneremo). Il fine di ogni indagine
        Decostruttiva
        non può essere che quello di informarci, di darci un frammento
        di
        conoscenza su questa complessità e quindi per estensione sulla
        condizione
        umana.  Chiaro è che la
        cosiddetta Architettura Decostruttivista,
        come altre formulazioni sintetiche della storia dell'arte, non si
        legittima
        attraverso filosofia o scienza, ma è qualcosa a se stante. Il
        valore
        del lavoro di Zaha Hadid di Libeskind o quello di Eisenman, che dopo la
        mostra si allontanerà dall'etichetta o di Gehry, che non volle
        neanche
        partecipare, non è più o meno valido rispetto alle
        presunte
        origini filosofiche quanto il Bauhaus di Gropius sia "prova" della
        relatività
        einsteiniana. Il valore che conosciamo, al di là delle fonti di
        ispirazione è solo spaziale, espressivo, costruttivo,
        funzionale,
        la pregnanza (o meno) dell'opera solo storica, la soluzione dell'arte,
        una maniera nuova di guardare il mondo  Inoltre ha ancora ragione
        Wines nel sostenere che semmai
        il lavoro in architettura filosoficamente "decostruttivo" è
        casomai
        quello di Gordon Matta Clark, che sega (letteralmente) stereotipi
        architettonici
        come la casa unifamiliare per rivelarci nuovi pensieri, o dello stesso
        scultore Wines e dei suoi Site che costruisce artificiosamente porzioni
        di edifici distrutti. Wigley li esclude perché il suo
        decostruzionismo
  "non tratta di edifici distrutti", tesi criticamente accettabile, ma
        allora
        ha ragione Wines: Deridda c'entra poco. Tra quelli convenzionalmente
        denominati
        tali, l'unico decostruttivo cui si può applicare Derrida
  è
        Gehry (attraverso una componente di cui non abbiamo neanche parlato:
        quando
        inserisce stereotipi classicheggianti nelle sue opere appunto per
        decostruirli
        completamente in un nuovo diverso sentire o quando usa al contrario lo
        stage set scenografico di Moore).  Comunque sia, moda,
        business, cultura, rivalutazione della
        tradizione delle avanguardie, iper-modernismo, rimane il fatto che le
        manifestazioni
        di Londra e New York fanno diventare fenomeno di massa quelle che prima
        erano esercitazioni isolate. Il ruolo di Eisenman come nuovo
        teorico-architetto
        di questa ricerca è egemone e assolutamente indiscusso. Ne
        deriva
        un rifiorire di pubblicazioni (tra cui il numero unico di "A+U"
        introdotto
        da Johnson, quello del "Croquis" e di "Progressive Architecture") e
        soprattutto
        un maggior numero di occasioni progettuali. Eisenman è ormai
        completamente
        risorto e la sua stella brilla con ancora maggior intensità
        degli
        anni Settanta.  2. Edifici in tre
        continenti  I progetti, e gli
        incarichi di Eisenman anche grazie al
        nuovo successo del movimento decostruttivista aumentano. In molti
        progetti
        degli ultimi non emergono nuove scoperte, ma avvengono lo stesso due
        fenomeni
        interessanti: da una parte si intrecciano tra loro modi di operare
        differenti
        messi già a punto, dall'altra si attuano dei compromessi
        necessari
        a tramutare le idee in realtà. A questo appunto avviene uno
        strano
        fenomeno: Eisenman che era stato attaccato da destra (per essere
        irrazionale,
        astratto e a-funzionale) ora viene attaccato (magari dagli stessi) da
        sinistra,
        accusato appunto di abbassare il tiro. In realtà il compromesso
        (oppure il gioco "dare-avere" o il trade-off) è assolutamente
        parte
        del lavoro dell'architettura e chiunque abbia una conoscenza non
        libresca
        del progettare sa che costo, funzione, norme entrano nel progetto, a
        volte
        riducendo l'impatto teorico, ma ottenendo nel processo una cosa
        necessaria:
        essere realtà fisica, la sola che può innescare processi
        di mutamento.  
 Tipico a proposito
  è il Convention center realizzato
        a Ohio. L'edificio è stato descritto come una manciata di
        spaghetti
        su una scatola. Eisenman certo per ottemperare alle necessità
        pratiche
        ed economiche deve effettivamente creare un volume rigido. Ma su questo
        innesta ondeggianti strutture che usano le tecniche che abbiamo visto
        nel
        collegio di architettura, richiamando l'ondulato sovrapporsi delle
        curve
        di livello, le famose tracce delle onde sulla spiaggia ma anche gli
        innesti
        stradali che gli sono limitrofi. Il risultato è che agli insulsi
        capannoni con frontalini degli abituali Convention center (luoghi
        coperti
        per immense manifestazioni espositive) si sostituisce un'idea
        completamente
        nuova. una architettura senza facciate, perché ogni onda si
        presenta
        autonomamente all'esterno, e che valorizza proprio le coperture (che
        sono
        visibili dai grattacieli limitrofi, e che sparano le linee dei laser in
        movimento sulla città). Gli interni di nuovo sono bellissimi.
        Forse
        un attimo sotto rispetto alla Facoltà di architettura, ma
        vivaddio,
        questo progetto esiste: fa pensare anche le persone di Columbus e non
        solo
        gli architetti che leggono i disegni.  
 Un meccanismo simile di
        articolazione dell'edificio per
        nervature arcuate sovrapposte e intrecciate avviene in due progetti non
        realizzati: l' Hotel Olimpico a Banyoles che risponde attraverso questo
        mezzo al paesaggio scosceso e l'Emory Center for the Arts della omonima
        università di Atlanta, un centro che si dovrebbe realizzare per
        le olimpiadi del 1996.  L'idea dello spazio "tra"
        le cose si sviluppa in due opere
        olandesi. Nell'edificio che progetta per l'Aia (1989) divide gli
        appartamenti
        in due blocchi, ma sfrutta il ballatoio centrale di distribuzione come
        il cuore del progetto: vi gravitano le attività di percorso dei
        residenti, ed è formalizzato come l'arteria pulsante
        dell'intervento
        che si prolunga all'esterno con il grande frattale vetrato delle scale
        e con la struttura reticolare del lato opposto. È un peccato che
        il progetto non sia realizzato perché dimostra come una
        risoluzione
        figurativa intelligente e se si vuole formalmente ëdecostruttiva'
  è
        possibile anche nel limitato bilancio dell'edilizia pubblica. Un altro
        progetto in cui il between viene esplorato è quello del
        piccolo
        padiglione per una mostra video realizzato in Olanda (in cui la
        sovrapposizione
        dei due volumi in cui lo spazio è diviso fa nascere il sistema
        di
        circolazione). Ma in questa costruzione del 1990 a questa idea si
        sovrappone
        quella del movimento scoperta nella Guardiola House. Qui diventa
        un'altra
        volta una "disclocazione pertinente" perché, almeno secondo,
        Eisenman
        l'operazione di slittamento e sfalsamento incrementale della forma
        deriva
        dallo stesso movimento che fa il pennello elettronico per ricostruire
        le
        immagini video. Continuamente rigenerate, in realtà sfocate,
        assumano
        nell'occhio la sensazione del movimento. Una tecnica, quella
        televisiva,
        diversa dalla pura successione fotografica del cinema. (Viene da
        pensare
        che se Duchamp y parla nel suo quadro del cinematografo, già
        inventato
        da un ventennio, Balla intuisce nel suo la televisione, che sarà
        scoperta solo quindici anni dopo).  L'idea dello sterro che
        aveva fatta la sua comparsa sin
        dal progetto di Berlino o di frammenti minerali fuoriusciti da
        improvvisi
        movimenti sotterranei (riemerge in alcuni edifici alti come nei
        progetti
        della Max Reinhardt Haus a Berlino, una specie di Grand arche ma qui
        composta
        di segmenti poliedrici, e negli uffici Alteka in Giappone). Mentre
        altri
        due progetti come la casa per studenti della Cooper Union a New York e
        un blocco abitativo (Atocha 123) a Madrid dimostrano come Eisenman
        ormai
        sia molto capace nel legare la riflessione teorica e concettuale con i
        vincoli di una progettazione professionalmente credibile.  In Giappone attraverso
        questa doppia chiave, un professionismo
        ormai maturo e una forte riflessione teorica e concettuale, realizza
        negli
        ultimi anni due opere che rivelano che le sue architetture non sono
        solo
        stimolanti dal punto di vista della ricerca espressiva e non presentano
        solamente dei giochi formali e allusivi.  Gli uffici Nunotani a
        Tokyo - oltre a specchio convincente
        della caleidoscopica società giapponese e della
        telluricità
        del territorio - presentano dei modi innovativi di organizzazione dello
        spazio. Il core (blocco centrale di circolazione verticale e
        servizi
        dell'edificio multipiano) assume un originale perimetro poligonale che
  è posto nella zona di sovrapposizione dei due quadrati sfalsati
        in cui si suddivide il fabbricato. La localizzazione e l'andamento del
        blocco determina percorsi e viste interne ricche di sorprese e
        rappresenta
        un suggerimento distributivo che varrebbe la pena di veder riapplicato.
        Nell'altro palazzo realizzato sempre a Tokyo (uffici Koizumi-Sangyo),
        Eisenman
        dimostra con evidenza che per raggiungere i suoi messaggi (Tokyo come
        sintesi
        di luogo e "non-luogo"), non bisogna necessariamente decostruire
        l'intera
        fabbrica (con gli immaginabili costi), ma si può agire cercando
        una tensione dialettica tra le parti: le une standard (in questo caso
        la
        scatola uniforme dei diversi piani) le altre eccezionali (il grande bow-window di
        tre piani ottenuto con una rotazione progressiva di pannelli e bucature
        su la forma a "L" di base. Ma il suo progetto recente più ricco
        e interessante è per Francoforte, la città di Ernest May
        e delle Siedlung. Se si confronta la banale ripetitività di
        tanti
        piani urbanistici con quello proposto per il quartiere residenziale a
        di
        Rebstock park (primo premio al relativo concorso) notiamo come i
        meccanismi
        del folding (piegatura), graft (innesto) e scaling (riduzione/allargamento) insieme ancora ad altre idee contribuiscono a
        creare uno spazio urbano molto ricco. Innazitutto per gli abitanti.  3. Rebstock Park.
        Plasmare la città.  Questo progetto del 1990
        per un quartiere residenziale
        di ben 450.000 mq tra abitazioni e edifici di commercio apparirebbe dal
        nulla nella produzione di Eisenman se non si facesse un passo indietro.
        Temi simili erano stati affrontati nel progetto Fox Hill a Staten
        Island,
        firmato insieme a Arthur Baker e Peter Wolf nel 1973. In quel momento
        si
        tentava di innestare una sinergia tra il New York State Urban
        Development
        Corporation (Udc), il MoMA diretto da Drexler e appunto l'Iaus di
        Eisenman
        che oltre al formalismo Five, aveva un filone minoritario, (capeggiato
        da Kenneth Frampton) attento ai problemi dello sviluppo della
        città
        attraverso la residenza a basso costo. Studi dei fenomeni negativi
        presenti
        negli edifici alti, e la necessità di proporre soluzioni
        alternative
        alla crescita dei suburbi, spinse la Udc a formulare una serie di nuovi
        scopi progettuali nel suo Criteria for Housing e a collaborare
        appunto
        con l'Iaus per la formulazione di prototipi innovativi di cui Fox Hill
  è un esempio.  Il titolo della mostra al
        MoMa(Another Chance for housing:
          Low rise alternatives 1973) sottolinea che la "diversa scelta"
  è
        nel contenimento delle altezze ma, la formulazione più efficace
        di questa strategia prenderà il nome da un titolo di
  "Progressive
        Architecture":Low rise-high density. Case basse ma ad alta
        densità
        diventa così la strategia per affrontare simultaneamente molti
        problemi:
        territorialità, conformazione dello spazio urbano,
        appropriazione
        degli spazi collettivi e semi-privati, creazione di sistemi compatti da
        inserire anche in situazioni urbane già edificate per evitare
        l'estensione
        infinita della metropoli, sicurezza, privacy eccetera. Centrale per
        ottenere
        questi scopi era l'innovazione dei sistemi distributivi che ai
        tradizionali
        meccanismi a ballatoio, in linea e a schiera sostituisse soluzioni che
        pur limitando l'altezza ai quattro piani consentissero di radicare
        l'alloggio,
        anche quello dei piani più alti, direttamente con il suolo.  La soluzione proposta da
        Eisenman a Fox Hill, ma presente
        anche in altri progetti del gruppo di lavoro Iaus e nella realizzazione
        del Marcus Garvey Village di Frampton e altri, si basa su una soluzione
        di "case sovrapposte" l'una altra. Questi pacchetti edilizi composti
        ciascuno
        da quattro appartamenti, contenendo ciascuno il sistema di
        distribuzione
        autonomo, si possono aggregare con relativa libertà: in questo
        caso
        con un andamento a crescent.  Se paragonata ai coevi
        esempi che si realizzavano nel
        recupero di Society Hill a Philadelphia coordinati da Edmund Bacon e
        per
        lo più progettati dalla Sauer associates (che gli snob
        architetti
        newyorchesi paiono ignorare), la soluzione distributiva è molto
        primitiva e parzialmente inefficiente proprio nel conformare gli spazi
        a terra: ma il pur immaturo Fox Hill rimane la premessa necessaria al
        Rebstock
        Park, di 17 anni successivo.  In questo affascinante
        progetto si incrociano molte tecniche,
        molte idee. La prima, e non poteva che essere così nella
        città
        delle Siedlung, è che l'architettura residenziale non è
        solo
        quantità ma essa stessa crea l'immagine (vorremmo dire
        l'identità)
        della città. È chiaro che le sottili variazioni dei
        blocchi
        abitativi per rispondere alle situazioni morfologiche e orografiche e
        l'uso
        del verde come connettivo ideato da Ernest May non possono più
        essere
        riproposte. Eisenman focalizza la critica nell'uso del suolo di questo
        modello, notando che spesso il terreno in questa concezione "si
  è
        trasformato in una distesa abbandonata. I volumi degli edifici sembrano
        distaccati dal suolo, galleggianti su un'area non più influente".  A questa idea dello
        scollamento tra conformazione degli
        edifici e suolo egli sostituisce il concetto di tessuto. Il terreno si
        deve trasformare da lastra su cui poggiare volumi, in un insieme da
        progettare
        attentamente come un insieme compatto in cui interagiscono spazi,
        strade,
        edifici, sistemi verdi e lastricati per contrapporre alla
        discontinuità
        di quella concezione, la continuità tra uno spazio e
        l'altro,
        tra una configurazione e la successiva.  Il concetto di tessuto
        d'altronde, sin da Halen di Atelier
        5 della fine degli anni Cinquanta, usa lo strumento a lui familiare
        della
        griglia. Un sistema a un tempo progettuale e territoriale che
        investendo
        globalmente tutta l'area, la riammaglia in un continuum di relazioni e
        di variazioni perché entro la griglia gli spazi si svuotano, si
        aprono e si chiudono con dimensioni variabili corrispondenti ai vari
        modi
        dell'uso.  
 Eisenman usa a Rebstock
        park il concetto di tessuto e
        la griglia ordinatrice, ma li rafforza con la propria idea dei
        tracciati
        urbani e degli sterri. Per cui alle griglie ortogonali tradizionalmente
        adoperate nei sistemi insediativi bassi ad alta densità, egli
        sostituisce
        tre sistemi geometrici, tre tracciati regolatori, naturalmente tra loro
        diversi: il primo a maglia larga derivato dal sistema del Mercatore y
        (?),
        un secondo a trama fitta di un'area limitrofa, un terzo mistilineo che
        segue i confini ondulati dell'area di progetto localizzata tra gli
        anelli
        viari del cosiddetto "terzo anello verde" di Francoforte. I tre
        sistemi,
        naturalmente, entrano in tensione. I vertici del sistema ondulato si
        giungono
        a quelli ortogonali deformando, piegando le linee perpendicolari in una
        serie di spezzate: un campo deformato che fa pensare a come la massa
        dell'energia
        gravitazionale (in questo caso degli edifici) plasma lo spazio tempo di
        .Einstein y.  Il risultato di questo
        esercizio geometrico è che
        alla ripetitività di alcuni sistemi insediativi "a tessuto", si
        sostituiscono linee ondeggianti e sempre variabili (ultimamente Jencks
        ha teorizzato questo muoversi per onde delle nuove ricerche
        architettoniche.
        Un sistema partito, per la verità, dal piano di
        Disurbanizzazione
        dei Costruttivisti russi nel 1929). Le strade, tutte a leggera
        ondulatura,
        seguono le linee del sito che declina leggermente e creano scorci
        continuamente
        variati. I corpi edilizi (lineari, organizzati a corte o con un
        interessante
        sistema a doppia "C" nei blocchi alti sul margine settentrionale) si
        deformano
        per seguire l'andamento della rete dei percorsi ma allo stesso, alla
        variazione
        di nello scatto dei piani, si disconnettono dalla geometria base per
        rispondere
        alle altre forze sottese dei tracciati con improvvisi tagli o con la
        fuoriuscita
        di corpi triangolari.  Il risultato è un
        urbanistica che crea un ambiente
        ricco di strutturate eccezioni e che, al contempo, risponde a tutti i
        canoni
        della moderna funzionalità. I mezzi, in fondo non sono
        più
        costosi di quelli, per esempio, che hanno conformati i nostri a volte
        fantasiosi
        Peep negli anni Settanta (l'ondulazione dell'intero progetto è
        creata
        con andamenti poligonali delle linee e una impostazione prismatica dei
        fabbricati). La vera qualità aggiunta è quella della
        cultura
        dell'architetto: Eisenman, affrontando un tema come quello del
        quartiere
        residenziale su cui generazioni di architetti si sono misurati in
        questo
        secolo, non propone né il funzionalismo anni Venti, né
        l'ambientismo
        nordico o le sue riprese paesane, nè la ripresa nostalgica del
        tipo
        a corte di molte prove Po.Mo, né solamente il concetto di
        tessuto
        dell'esperienza della casa bassa ad alta densità ma combina
        tutte
        queste esperienze in una sintesi che molto deve alle sue proprie
        decennali
        ricerche. Il progetto dimostra come una riflessione al più alto
        livello teorico e concettuale sull'architettura e la sua Storia
        può
        conformare la nuova città. Ma l'efficacia del progetto in
        realtà,
        al di la di queste spiegazioni, è proprio nella
        semplicità
        della soluzione, se si vuole nella sua assoluta fattibilità, nel
        suo realismo. Un esito tutt'altro che scontato per Eisenman. 
 
 7. Sei Domande. Una risposta 1. Trattatista di oggi?
 Eisenman, non ha scritto
        un trattato dell'architettura
        come Vitruvio, Alberti, Palladio o Durand. La fede di poter
        sintetizzare
        l'intera disciplina è, giustamente, svanita. Ma non bisogna
        sottovalutare
        la riflessione teorica e le tecniche di sviluppo progettuale che egli
        ha
        messo a punto in sei lustri di accanita di ricerca. Ricordiamone
        alcune:
        la scoperta della Implosione (House II) derivante da una inedita
        combinazione
        di alcuni principi progettuali di Terragni, l'Esplosione dei volumi su
        una struttura geometrica legata al sito e che struttura i movimenti
        delle
        parti (House X), le tecniche di Trivellazione (House XI) determinate
        con
        rotazioni a elica di volumi ad "L", l'idea dello Sterro archeologico
        (Iba
        a Berlino) per ritrovare geometrie nascoste che strutturano i volumi
        come
        minerali, l'idea del Tra, dell'incunearsi tra strutture preesistenti
        modificando
        spazi amorfi in nuovi centri (Wexner), i Palinsesti che intrecciano
        presente
        passato e futuro e la cui manipolazione progettuale determina spazi
        pubblici
        agganciati al paesaggio (Museo Long Beach), i Movimenti astratti dei
        cubi
        booleani o quelli organici dei frattali e del Dna (a Pittsburgh e a
        Francoforte),
        soprattutto queste ultime tecniche che, combinandosi alle altre,
        strutturano
        tre capolavori. Il movimento ripetuto e Sfocato della Casa Guardiola a
        Cadice, la Vibrazione doppia del nuovo e del preesistente del College
        of
        Design a Cincinnati che determina straordinari cavi e si proietta nello
        spazio circostante e infine la Piegatura del Rebstock park che
        sintetizza
        in un nuovo paradigma town design e manufatti edilizi in uno dei temi
        più
        portanti di tutta la nuova architettura del secolo. Sono tecniche di
        progetto.
        Non automatiche ricette. Conoscerle è importante, per poterle
        riusare
        e magari combinare ad altre. La loro applicazione è delicata, ma
        non difficile, né necessariamente irrealistica. Si tratta per
        Eisenman
        stesso e per noi di capire quando servono, quando rinforzano
        caratteristiche
        fondamentale del problema quando il loro uso ci rivela, con la magia
        dell'arte,
        la loro assoluta necessità. Sfidiamo i lettori a trovare un
        protagonista
        della scena architettonica contemporanea che abbia tanto sperimentato e
        che ci fornisca tanti e così potenti strumenti di lavoro.  2. Existenz Maximum
        y?  Ma al di là della
        incessante ricerca di novità,
        della inesauribile curiosità intellettuale e del coraggio della
        sperimentazione, della teatralità a volte enigmatica e
        iniziatica
        con cui vengono diffuse queste idee, queste tecniche sono tutte unite
        da
        un concetto. La ricerca artistica, lo abbiamo già detto,
        funziona
        per frizioni tra diversi: non per assonanze, ma per contrasti (o come
        li
        ama chiamare il nostro "dislocamenti"). Eisenman lo ha fatto sin da
        quando
        associava il generativismo chomskiano al farsi dei suoi progetti, un
        modernismo
        senza uomo alla Foucalut alle sue arbitrarie composizioni di carte, la
        psicoanalisi ai suoi sterri e trivellazioni, la filosofia di Derrida,
        la
        geometria di George Boole y, il Dna di James Watson e Francis Crick, il
        Chora di Platone ai suoi progetti. Ma le dislocazioni vanno ancora
        avanti
        su un percorso che proprio nel College di Cincinnati e a Rebstock
        comincia
        a intravedersi. Quasi impercettibilmente, passo dopo passo Eisenman
        riconquista
        quello che aveva all'inizio escluso. Le sue architetture non sono
        più
        solo dei testi (o dei racconti molteplici e sfaccettati che si muovono
        nella dimensione astratta del pensiero), ma diventano anche spazi per i
        movimenti, la vita, gli uomini.  Eisenman paralizzò
        nella sua prima fase, la dimensione
        storico-culturale dei fenomeni (e su questa esclusione basò la
        sua
        posizione eccentrica e vincente); teorizzò l'assolutezza del
        linguaggio
        e un modernismo antiumanista. Ma in realtà a vedere questi e
        altri
        progetti sembra che le sue ultime architetture facciano fatica a
        sostenere
        il suo vecchio antiumanesimo. Se non altro perché le sue
        prospettive
        diventano popolate da anziani e giovani, belle donne e bambini. Sembra
        anzi che quei suoi volumi tagliati e articolati, quei cavi
        magnificamente
        dinamici hanno assolutamente bisogno degli uomini per esistere. Sono
        anti-classiche
        proprio perché superano ogni posizione astratta e atemporale. Ci
        parlano dell'oggi e del futuro. Dell'esistere contraddittorio e
        molteplice
        della nostra vita. Eisenman ci aiuta a capire, e in questo ha ragione,
        che il centro non è più l'Uomo (principe dominatore e
        prospettico)
        del primo Rinascimentamento, quello senza centro del Manierismo
        (confuso
        dopo la controriforma, la rivoluzione copernicana, la scoperta
        dell'America,
        la doppia morale di Macchiavelli), quello di una riduzione a
        quantità
        e bisogni "minimi" della nuova oggettività funzionalista, ma che
        il vero centro è diventata proprio la vita nel suo misterioso
        svilupparsi,
        nel suo pernenne cambiamento nel suo intrecciarsi in situazioni sempre
        mutabili con la mente, la percezione, la cultura, il tempo, e la
        fisicità
        dell'uomo.  3. Informatico
        versus Meccanico ?  L'ambizione,
        difficilissima, che Eisenman persegue è
        trovare una via per dare struttura architettonica al grande, immenso
        paradigma
        che ci sta avvolgendo tutti in questa fine millennio.  L'energia della
        conoscenza che come un fiume in piena
        straripa all'esterno, le griglie sovrapposte e intersecanti dello
        spazio
        urbano sterrate archeologicamente, il gioco allusivo della città
        fortificata degli improbabili bastioni terminali, il fossile intagliato
        accanto al muro di Berlino, oppure i percorsi-moli o le ipotetiche
        torri
        di estrazione del Museo in California, ma anche le sue dislocazioni
        pertinenti:
        il cubo informatico, il Dna, le onde televisive, la sabbia luogo-non
        luogo.
        Questa serie di rimandi diventa per Eisenman un aspetto fondamentale di
        un testo che non descrive più l'assolutezza dei significati
        sintattici
        della sua fase precedente, ma l'ambigua e poliedrica
        molteplicità
        del mondo della conoscenza contemporaneo. Sono risposte adeguate?
        Oppure
        una nuova autolegittimazione? È questa la strada da percorrere
        oppure
        siamo ancora ai dagherrotipi che rifacevano con l'obiettivo fotografico
        i ritratti a olio? È una banalizzazione di quel turbinio di
        eventi
        che ormai si chiama terza ondata, civiltà del computer, epoca
        post-industriale
        e che abbisogna di altre ancora più complesse risposte o
  è
        gia questa la via?. Hanno queste operazioni la capacità di
        parlarci
        di un "paradigma informatico" come quelle della nuova architettura del
        secolo ci parlavano di un "paradigma meccanico". Le risposte maturano
        lentamente.
        Certo oggi, è chiaro che Eisenman sta cercando. E chi voglia
        cercare
        in questa direzione del suo lavoro non può fare a meno.  4.
        simultaneità contro Velocità ?  Forse il vecchio
        paradigma industriale della velocità
        si trasforma in simultaneità. La concezione fondamentale di
        questo
        secolo è stata che edificio è spazio. Oggi si cerca
        risposta
        in una nuova direzione: l'edificio è tempo. L'edificio come
        macchina
        del tempo che "narra" simultaneamente di passato presente e futuro (la
        dimensione del racconto molteplice di cui sopra) ma anche che gioca
        strutturalmente
        con il problema sostanziale della Simultaneità. Come? Che salti
        concettuali dobbiamo ancora fare per riuscirci?. Si tratta
        semplicemente
        di includere sistemi vivi di trasformazione automatica degli edifici al
        variare per esempio della situazione di illuminazione (vedi i diaframmi
        di Jean Nouvel), o del numero di persone o del clima o delle esigenze
        di
        sicurezza e controllo?. Oppure si tratta di incorporare nell'edificio
        sistemi
        di letterale simultaneità (schermi computer, grandi televisori,
        il famosissimo Internet con tele conferencing, l'accesso immediato a
        persone,
        dati, conoscenze in tutto il globo e oltre?). Ma questi strumenti
        dovrebbero
        trovare una loro intrinseca necessaria risposta estetica. Come l'uso
        del
        vetro trovò nella nuova dimensione spazio percettiva del
        Bauhaus.
        Se l'edificio non è più solo spazio ma soprattutto tempo
        (nei suoi molteplici infiniti aspetti) quali sono le dimensioni
        spaziali
        del tempo?. Eisenman a Guardiola e a Cincinnati fa una proposta. Basta?  5. La chiave
  è nel piccolissimo?  Il problema, ormai chiaro
        a molti, è di estendere,
        di moltiplicare, di dilatare la Polisemia dell'architettura e non
        più
        di ridurre, circoscrivere, frazionare la disciplina in sotto ambiti
        particolari
        come si faceva tra gli anni Sessanta e Settanta. La difficoltà
  è
        creare edifici capaci di intessere relazioni "con l'altro da sé"
        non solo perché luogo costruzione funzione si veicolano in
        architettura
        attraverso l'arte ma perché ci rendiamo conto che la mente
        umana,
        la sfera delle idee (dalla filosofia alla fisica alla psicoanalisi)
        entra
        quale quinta fondamentale categoria dell'architettura. Non più
        triade
        di bellezza costruzione e funzione, né poker esteso al luogo, ma
        appunto mano: con cinque dita. Forse la risposte si trovano nel
        piccolissimo.
        Fritjof Capra, tra i grandi divulgatori delle moderna scienza, scrive:
  "In contrasto con la visione meccanicistica e cartesiana, la visione
        del
        mondo che emerge dalla fisica moderna può essere caratterizzata
        da parole come organica, olistica y ed ecologica. Può essere
        chiamata
        anche una visione sistemica, proprio nel senso della teoria generale
        dei
        sistemi. L'universo non è più visto come una macchina,
        composta
        da una moltitudine di oggetti, ma come una unità indivisibile,
        dinamica
        le cui parti sono essenzialmente interrelate e possono essere comprese
        come patterns (forme-strutture) di un processo cosmico."  In particolare, quando si
        guarda agli Atomi, al Dna, alle
        onde elettromagnetiche è la teoria dei "Quanti" la chiave  "Nella teoria dei quanti
        non si termina mai con "cose"
        ma sempre con inter connessioni. [...} Non possiamo decomporre il mondo
        in indipendenti piccole unità . Quando penetriamo dentro la
        materia,
        la natura non ci dimostra alcun isolato mattone da costruzione, ma
        piuttosto
        una complicata ragnatela di relazioni esistenti tra le varie parti di
        un
        unificato intero"  A questo paradigma basato
        sulle inter connessioni, risponde
        un poco tutto il pensiero contemporaneo: dall'economia all'urbanistica,
        dall'informatica (cosa è un microship se non questo) alla
        matematica,
        senza parlare di biologia e fisica e naturalmente filosofia. In
        architettura
        come non pensare a due opposti? Ancora Alexander con il suo Pattern
          Language e naturalmente Eisenman. Quando interpreta i granelli di
        sabbia
        ondulati, quando organizza i suoi progetti sulle onde elettromagnetiche
        o sul Dna, quando formalizza episodi degli edifici come dei frattali
        che
        dal piccolo al grande ruotano su se stessi. La chiave della vita si
        nasconde
        nel piccolissimo. Chissà qualcosa ci aspetta ancora: qualcosa
        che
        riesca in una tautologia del Duemila a parlarci insieme della vita e
        della
        materia. In fondo quello che cerchiamo di fare con l'architettura. Non
        solo parlare delle idee, non solo trovare risposte alle vecchie triadi
        o alla nuova mano ma trasformare la materia inerte del ferro
        dell'acciaio
        del cemento (magari delle plastiche o delle lamiere) nella vita stessa
        degli uomini. Per farli felici, forti, consapevoli: più umani.
        Spazi
        come cellule viventi che attaccano assorbono strutturano organizzano
        l'unica
        vera natura, l'unico vero paesaggio dell'uomo sapiens. Quello del
        costruire.  6. Ancora il "tra
  ". Eisenman transfuzionalista?.  Ormai siamo consapevoli
        che il problema di questi anni
        non è quello di basarsi su presunte certezze, su dogmi e regole,
        ma quello di porci, le giuste domande. Ora a me sembra che la domanda
        fondo
        dell'architettura è: "Come Possiamo Articolare la Vita nelle
        Nostre
        Costruzioni?" (Dove il Come rivela l'esigenza di formalizzare
        conoscenze
        trasmissibili, tecniche e metodi di lavoro; Articolare sta per la
        ricerca
        di spazi dinamici e fluidi; Nostro vuol dire apertura problematica a
        quanti
        dalla comunità ai clienti, alla città sono coinvolti nel
        processo; Costruzioni significa considerare il progetto come un tutto
        che
        investe simultaneamente l'edificio comunemente inteso e le aree libere,
  "costruibili" anch'esse con l'acqua, la vegetazione, le pavimentazioni,
        gli arredi, le strutture leggere). La parola decisiva è
        però,
        ancora, Vita. Questo vuol dire, in fondo, Transfunzionalismo:
        abbracciare
        della vita tutti gli aspetti, da quelli di quantità, standard,
        norma,
        ergonomia della prima stagione modernista "oggettiva", a quelli
        tridimensionali
        percettivi e tattili della fase organica, a quelli di
        territorialità,
        controllo, comunità densità della psicologia
        dell'abitare,
        a quelli logici, filosofici, scientifici elettronici dell'ultimo
        prodigioso
        aprirsi degli ultimi anni. Senza dimenticare il dato più
        difficile
        e più importante. L'arte. Che della vita è la forma
        più
        alta e la sola unicamente umana. Transfunzionalismo allora (e non Post!
        come scrisse nel 1976): oltre il funzionalismo, attraverso il
        molteplice
        della vita per cercare risposte ogni volta diverse. L'ultimo Eisenman e
        soprattutto quello futuro può essere un agente di straordinaria
        importanza in questa direzione. Il suo costante attraversare,
        esplorare,
        cercare risposte con libertà e curiosità ci è
        necessario. 
 
 7. Modernità
        come crisi  Speriamo di aver
        dimostrato come l'antiumanesimo di Eisenman,
        con cui era partita la sua ricerca, ormai si è annullato in una
        consapevolezza verso l'estensione polisemica dell'architettura che
        riabbraccia
        della vita la sua incredibile e affascinate molteplicità. Ma in
        conclusione un altro tema eisenmaniano, quello dell'antitesi tra
        architettura
        moderna (come continuazione della tradizione Umanistica rinascimentale)
        e quella del Modernismo (come scissione tra uomo e idee. come
        rivendicazione
        di autonomia testuale, logica dell'architettura), va discusso. Di
        questo
        aggettivo "moderno" e del suo sostantivo "modernità" dobbiamo
        pur
        parlare, capire cosa è (e per questo quasi mai lo abbiamo sin
        ora
        adoperato).  Non molto tempo fa, il
        direttore di questa collana mi
        chiese "Saggio, cosa è per te la modernità? Sono
        cinquant'anni
        che ci lavoro ... " Avevo già capito che la critica è
        positiva
        solo se nega: combatte consuetudini, norme e regole per affermare il
        valore
        originale della ricerca artistica. Avevo capito che il progetto di
        architettura,
        di per sé prosa compromissoria tra funzione, costruzione e
        bellezza,
        si doveva spingere oltre. La funzione diventare tensione verso spazi
        umani
        e organici, la costruzione segnare l'audacia della conquista dinamica
        dello
        spazio, la bellezza essere annullata nel ricominciamento del Grado
        zero.
        Era chiaro pure che un'idea canonizzabile e imbalsamata di "bellezza",
        non esiste.. Ma sulla modernità dissi qualcosa come "Beh, certo
  è un concetto atemporale, non si riferisce a un epoca ....". Era
        solo la risposta di un lettore diligente: "Saggio, la modernità
  è quella che fa della crisi un valore".  Caspita, pensai, questo
        vale E=mc2 . Bruno Zevi lo aveva scritto e allo stesso "nascosto" in un inciso del
          suo recente libro Architettura della modernità, appunto.
          La modernità è quella che fa della crisi un valore, crea
          una morale contraddittoria, suscita un'estetica di rottura.  Modernità è
        un concetto che attraversa tutta
        la storia, non è utilmente segmentabile in un arco temporale
        perché
        vuol dire affrontare di petto gli elementi di crisi di cambiamento di
        novità
        in un dato momento storico e, a partire da questi elementi di crisi
        rispondere
        in positivo. Cosicché moderno è l'atteggiamento di
        Arnolfo
        Di Cambio o di Giotto, di Bruneleschi o di Masaccio di Michelangelo,
        Borromini
        e Gropius. Ora se vi è un architetto moderno al mondo per questa
        sua incessante ricerca nelle viscere stesse della situazione
        contemporanea
        e Eisenman, senza di lui saremmo molto più soli, molto
        più
        poveri. Il presunto contrasto tra Architettura moderna e Modernismo,
        sotto
        questa luce, appare un falso problema.  Le sfide che ci sono
        davanti con cui ho iniziato questo
        scritto sul newyorchese Eisenman sono "crisi che si devono trasformare
        in valori", in risorse del progetto per spingerci oltre darci la forza
        e la vitalità dell'agire. Da Eisenman aspettiamo nuove sfide e
        nuove
        risposte. 
 
 Per Approfondire 
 
 
 
 
 
 I principali studi di cui si è
        giovato questo scritto sono indicati
        nella lista delle abbreviazioni che segue; quelli più specifici,
        solo nei paragrafi relativi. Un cenno non va omesso ai due lavori
        più
        importanti. Il primo è il saggio di Manfredo Tafuri del 1976
        esteso
        a tutti i Five Architects, il secondo è il libro di Pippo Ciorra
        del 1993. Le citazioni riferite ad Eisenman, eccetto quando altrimenti
        specificato, si riferiscono alla traduzione italiana di Ciorra dei
        testi
        di Eisenman che accompagnano i progetti.  A+U 88 - Eisenmananamnesie,
  "A+U", numero unico, 8/88  AdA 92 - Frederic Levrat, Peter
        Eisenman, "L'Architecture d'Aujourd'hui",
        2/92  Ciorra 93 - Pippo Ciorra, Peter
        Eisenman, Electa, Milano, 1993  ElC 89 - Peter Eisenman, "El
        Croquis", n. 41 12/89  De 89 - Deconstruction, Omnibus volume (cura di A. Papadakis,
        C. Cooke, A. Benjamin), Rizzoli int., New York 1989  Eisen 76 ? Peter Eisenman, Post-functionalism, "Oppositions",
        n.16 1976  Eisen 78 ? P. E, The graves of
        modernism, "Opposition", n.12
        1978  Eisen 84 - P. E, [Autopresentazione] in
        AA.VV., Contemporary Architects,
        EDITORE y, New York con un saggio di C. Ray Smith (ed. 1984), di Nathan
        Silver (ed. 94)  Eisen 88 - P.E., Architecture as a
        second language: The text of between ,
        in varie pubblicazioni (v.p.) tra cui De 89 e Ciorra 93  Eisen 88a - P.E., The authenticity of
        differance; architecture and
        the crisis of reality, v. p. tra cui in Ciorra 93  Eisen 88c - P.E., En terror firma;:in
        trails of grotextes, v.
        p. tra cui in De 89  Eisen 89 - Intervista a Jencks in De 89  Eisen 89a - P.E., The blue line text, v. p. tra cui in Ciorra
        93  Eisen. 92 - Intervista a Levrat in AdA 92  Frank 93 - Suzanne Frank, voce Eisenman,
        International dictionary
        of architects, St. martin press 1993  Heyer 93 - Paul Heyer, American
        architecture, Ideas and ideologies
        in the late twentieth century, Van nostrand Reihnold, New York 1993  Jencks 89 - Charles Jencks, Deconstruction;
        the pleasure of absence,
        in De 89  PA 89 - Peter Eisenman,
  "Progressive Architecture", numero unico,
        10/89  Tafuri 76 - Manfredo Tafuri, Five
        architects N.Y., Officina,
        Roma 1976 
 
 
 
 
 
 1. Big Bang dell'architettura  1. Poker Vitruviano?. A quanto
        già discusso nel testo
        forse vale la pena aggiungere che gli ordini classici nelle Accademie,
        il calcolo nei Politecnici, la razionalizzazione delle quantità
        nel dibattito culturale e nei centri della nascente nuova architettura
        erano gli strumenti privilegiati che cercavano di "gerarchizzare" gli
        aspetti
        divergenti della disciplina: non sfidarne l'unitarietà. Una
        unitarietà
        ribadita con la massima evidenza (I cinque punti! di LC) proprio in
        tutto
        il lavoro dei maestri della nuova architettura La necessità
        sintetica
        d'altronde è connaturata alla natura stessa della disciplina: a
        differenza di altre arti come la musica, la poesia o la pittura,
        l'architettura
  è polisemica: serve uno scopo pratico, e insieme ha altre
        proprietà.
        Filosofi e critici avevano dibattuto su questa particolarità,
        che
        poi è comune al design degli oggetti d'uso, arrivando
        alla
        conclusione, anche con il filosofo italiano Benedetto Croce certo non
        troppo
        aperto verso l'accettazione delle componenti "pratiche" e
        utilitaristiche
        dell'arte, che sì, pur se l'architettura deve obbedire all'uso,
        essa è in grado di veicolare messaggi (conoscenze) di ordine
        estetico.
        ("Il fine estrinseco non è di necessità limite e
        impaccio"
        a quello estetico: "i due fini non stanno di necessità in
        contraddizione";
  "l'attività estetica può andare sempre d'accordo con
        quella
        pratica". Sono brevi citazioni di Croce inserite in un discorso
        più
        ampio da Bruno Zevi, Paesaggi e città, Newton
        Compton,
        Roma 1995 p. 11 che naturalmente incontra questo problema trattando
        della
        natura del paesaggio)  Eisenman attacca più riprese la
        continuità umanistica
        della architettura moderna . Un chiaro sunto di questa sua concezione
  è
        in Eisen 84 p. 263 dove egli si sofferma sul la differenza tra
  "architettura
        moderna" (che addirittura definisce "classica" Eisen 8a p. 212)
        e il nuovo epistema "modernismo": "Il modernismo, come una
        sensibilità
        basata su un fondamentale dislocamento dell'uomo, rappresenta quello
        che
        Michel Foucault chiamerebbe un nuovo épistème.
        Derivante
        da un attitudine non-umanistica nella relazione tra uomo e l'ambiente
        fisico.
        Il Modernismo rompe con il passato storico sia perché non vede
        più
        l'uomo come soggetto, sia con il positivismo etico di forma e funzione.
        Quindi Modernismo non può essere relazionato al funzionalismo.
  È
        la ragione per cui il modernismo non è stato fino ad esso
        elaborato
        in architettura". (Aveva già spiegato i medesimi concetti in
        Eisen
        76, Post-Functionalism). Naturalmente un problema esiste quando si
        guarda
        alla natura strutturalmente polisemica dell'architettura. In altre
        parole
        se questa idea di modernismo si basa sull'estraniazione - se si vuole
        alienazione
        dal fondamento umano - perseguire questo programma proprio in una
        disciplina
        che si basa sul suo radicarsi anche in una serie di ragione pratiche
        (tettoniche,
        di uso) ma anche, simboliche, psicologiche, rappresentative,
        ambientale,
  è particolarmente complesso (anzi impossibile, anzi sbagliato)
        Eisenman
        d'altronde lo dice "è più difficile in architettura
        perché
        (...) l' architettura è radicata nella sua presenza nel suo
        essere
        vista come riparo e istituzione, house and home. L'architettura
  è
        il guardiano della realtà. È l'ultimo bastione della location.
  È un vero problema. L'architettura reprime la dislocazione per
        la
        stessa paradoxical posizione che ella tiene. Non si ha questo problema
        con teologia, filosofia o con la scienza." (Eisen 89 p.143)  2. Riduzionismo esclusivista. La
        tesi dottorale di Eisenman (The
          Formal Basis for Modern Architecture, Cambridge 1963) è
        disponibile solo in alcune biblioteche molto attrezzate (come quella
        dell'Eth
        di Zurigo) ma andrebbe da qualcuno pubblicata perché è
        una
        testimonianza a un tempo storica - solo negli anni successivi questo
        tipo
        di analisi diverrà abituale - e allo calzante di una ipotesi di
        lavoro dottorale nell'area della progettazione. Colin Rowe, (che
        Eisenman
        definisce come "il più importante dei miei padri" in Eisen 92)
        oltre
        Terragni gli fa scoprire Palladio e Serlio. Caratteristica di questa
        fase
  è Colin Rowe, Robert Slutzki, Transparence,
    Réelle
    et Virtuelle, (ed. francese introdotta da Werner Oechslin; di un
        famoso
        saggio scritto tra gli anni Cinquanta e Sessanta), Les Edition du
        Demi-cercle,
        Parigi 1992.  Il tema del Big bang anni sessanta in
        rapporto alla scomparsa dei maestri
  è stato introdotto in due scritti precedenti su Eisenman (la
        recensione
        al volume di Ciorra in "Domus", 7/8 1993 e Il teorico scende in
          campo,
  "Costruire", 9/93). Per quanto riguarda la sintesi qui proposta del
        lavoro
        su Kahn cfr. "Domus" 10/92. Per Tafuri 76 p. 9 sia Kahn che
        Venturi
        operano "un rovesciamento dell'architettura su stessa, che renda
        legittimo
        sprofondare nel pozzo senza fondo dell'autonomia formale". Ma una cosa
        sono i fenomeni che Kahn innesta (senza dubbio, anche, un fortissimo
        formalismo)
        un'altra cosa è il senso del suo lavoro (l'esatto opposto del
        formalismo,
        anzi una concentrazione fortissima sull'unitarietà
        dell'architettura,
        della sua inscindibilità in sfere autonome). I due volumi chiave
        degli anni Sessanta sono Robert Venturi, Complexity and
          Contradiction
          in Architecture, Mit y 1966, e Christopher Alexander, Note
            sulla sintesi della forma (titolo inglese y) 1963. entrambi
        disponibili
        in edizione italiana  2. Architettare testi e manifesti  1. Architetto-artista concettuale. Sul
        manhattanismo cfr. il
        saggio di Herbert Muschamp in Thinking the present. recent
          american
          architecture, (cura di M. Hays e C. Burns) Princeton architectural
        press, Princeton 1990 discusso da Ciorra 93). Alcuni dettagli sulla
        vita
        di Eisenman, come la partecipazione alla guerra di Corea, si devono a
        Suzanne
        Frank (Frank 93) tra l'altro committente insieme al marito di House VI.
        Sull'Iaus un saggio specifico è Joseph Rykwert, The
          Institute
          for Architecture and urban Studies, in "Casabella" n.359-360 1971
        ma
        esistono anche lunghi passaggi e commenti in Frank 93, Smith 84, Wines
        89 e nell'intervista con Jencks (Eisen 89). In tutti questi scritti,
        pur
        se in diversa dose, il pettegolezzo si mescola alle notizie e ai
        giudizi
        sulle varie fasi di attività dell'istituto. Sulla sua
        diversità
        rispetto a Venturi e Rossi, Eisenman scrive "Venturi ha trasformato il
        linguaggio; Rossi ha trasformato il linguaggio, ma sempre all'interno
        del
        linguaggio. Parlo di due personaggi che hanno riformulato gran parte
        del
        linguaggio post-bellico dell'Architettura. Il mio lavoro invece
        ri-formula
        il linguaggio, o sposta (disloca) il mio linguaggio dall'esterno, dalla
        fisica dalla biologia, dalla teoria delle catastrofi, dalla matematica
        ..., in altre parole spinge sempre nuove cose dentro l'Architettura
        dall'esterno"
        (Eisenman intervistato da Fabio Ghersi in "Controspazio" 1/2 92 p. 13)
        Eisenman dice una cosa vera e una errata. Chi ha portato dentro
        l'architettura
        l'esterno (il kitch il popolare il quotidiano il Pop) è stato
        proprio
        Venturi. Rossi, poi, in tutta una fase legava la sua ricerca a ragioni
        socio-politche di attacco alla società capitalistica. Il
        problema
        non è quindi così semplice. Il fatto è che per i
        due
        architetti citati vi era un problema di "contenuti" ( o se si vuole di
        valori) mentre per Eisenman almeno all'inizio il dislocamento era una
        tecnica,
        un esercizio intellettuale. Ma nel suo lavoro a forza "di spingere
        sempre
        nuove cose dentro l'architettura dall'esterno", lui stesso, vi
        torneremo,
        riscoprirà dei (molteplici, sfaccettati, pluri direzionati sin
        che
        si vuole) contenuti. Il manifesto concettuale di Eisenman di cui si
        parla
  è in "Design Quarterly", n.78-79 1970 (e anche "Casabella" 12/71
        e Tafuri 76) un secondo apparirà in varie testate tra cui
  "Casabella"
        2/73. Di Noam Chomsky bisogna almeno ricordare Generativism,
        Mit press y, di Umberto Eco, La struttura assente,
        Bompiani
        Milano 1969 y originariamente redatta come dispensa della
        facoltà
        di Architettura di Firenze in cui Leonardo Ricci lo aveva chiamato ad
        insegnare.
        I critici e storici d'arte che hanno esercitato influenza su Eisenman
        sono
        ricordati da Jencks 89. La frase su Terragni è stata pronunziata
        a Harvard nel 1985 ed è riportata in Giorgio Ciucci, Ennesimeanamnesi (bel
        titolo: Anamnesi - esame dell'anima su una serie di indizi - di un bel
        saggio) in Ciorra 93.  2. Cultura è un business. Sulle
        capacità promozionali
        di Eisenman si soffermano molti autori Ciorra 93 p. 22, per esempio,
        sostiene.
  "La sua costruzione teorica è un vero e proprio apparato di
        propaganda,
        tendente a dimostrare come la sua immagine di questo nuovo sistema di
        relazioni
        sia l'unica e la più efficace" Sul valore delle scelte
  "esotiche"
        e controcorrente scrive Diane Ghirardo . "La soluzione è
        assumere
        una posizione teorica esclusivista, (...): se funziona questa diventa status"
          (Peter Eisenman Il Camoufflage dell'avanguardia, "Casabella" 6/94
        p.
        27). Sull'impostazione quale individualità e business y
        dell'architettura
        statunitense cfr. Eisen 92  3. Nascita dei Five. Il catalogo
        della mostra dei Five a New
        York con gli scritti di Rowe, Frampton, Drexler e La Riche è: Five
          Architects, George Wittenborn & Company, New York 1972. testi
        (anche
        molto critici) sui Five appaiono sul numero unico di "Architectural
        Forum",
        5/73. Tafuri 76 dà delle definizioni molto calzanti e
        profetiche:
        Se Eisenman è il teorico e il terrorista formale, Graves
  è
        un illusionista, Meier un meccanico delle funzioni (aggiungeremmo che
        Hedjuk,
        forse, un prestigiatore che lancia e poi raccoglie i suoi pezzi nello
        spazio,
        Gwathmey associato con Siegel, un colto mediatore). Mario
          Gandelsonas pubblica saggi sui Five su "Progressive Architecture" 3/73 e
  "Casabella"
        2/74 in cui a pagina 22 scrive "Paralizzando la dimensione semantica,
        la
        dimensione sintattica assume un peso inusitato". Definizione
        assolutamente
        perfetta di questa fase di Eisenman, che viene citata anche da altri,
        in
        un articolo che appunto si intitola Linguistic in Architecture..
        La definizione della "energia didattica" del suo lavoro è di
        Jencks
        89. Del tutto naturale dato che il suo dottorato è
        specificamente
        in progettazione architettonica.  3. Partiture di carte e di dadi  1. Peter Terragni. I saggi di
        Eisenman sono: Dall'oggetto
          alla relazionalità: la Casa del Fascio di Terragni,
  "Casabella",1/70
        e From object to relationship: Giuseppe Terragni, Casa Giuliani
          Frigerio,
          II, "Perspecta", n.13-14 1971. Cfr. su quanto sintetizzato su
        Terragni
        nel testo Giuseppe Terragni, Vita e opere, Laterza, Roma Bari
        1995.
        Nella propria bibliografia in Eisen 85 appare anche il titolo Giuseppe Terragni, Cambridge 1985. Manfredo Tafuri scrisse la premessa
        all'ipotetico
        volume (che poi sarà pubblicata come saggio autonomo nel 1978,
  "Lotus",
        n.20) perché né l'Mit, né successivamente Rizzoli
        international, che pure annunziò con tanto di copertina, il
        volume
        mai hanno dato alle stampe il lavoro. Certo che il continuo annuncio
        del
        libro-fantasma ha dato più aura alla sua immagine di una
        superficiale
        e affrettata pubblicazione.  2. Differenze e diagrammi. Tra i
        molti critici che si sono occupati
        di Eisenman in questa fase una delle osservazioni più pertinenti
  è contenuta in Heyer 93 che a p. 138 scrive "Nel lavoro di
        Eisenman
        le componenti sono inestricabilmente bloccate, come se diventassero
        collapsed
        inward, ... [y] curare traduzione] In eisenman'work components are
        inextricably
        interlocked as they become collapsed inward, almost slid onto
        organizing
        and regulating line and entwined as they reemerge outward as layered
        exterio
        form". Sullo sviluppo successivo di Meier cfr. "Domus" 12/93,
        recensione
        al
        volume Richard Meier , a cura di P. Ciorra e L. Sacchi, Electa
        Milano
        1993  3. Perversioni dell'arbitrario. Naturalmente
        privilegiare il
        momento del disegno è un fenomeno comune a tutta l'avanguardia
        architettonica
        degli anni Settanta. A questo proposito non si può non ricordare
        (assieme al lavoro di Rossi, Scolari, Grassi e altri architetti della
  "Tendenza")
        soprattutto quello dell'italiano Franco Purini. La cui forte
        vocazione
        teorica (L'architettura didattica, Casa del libro, Reggio
        Calabria
        1980) innerva tutti i propri testi: vuoi disegni, progetti o scritti.
        Su
        alcune convergenze tra il lavoro di questo architetto romano e Eisenman
        cfr. Franco Purini, Fra Futurismo e metafisica, Costruire,
        4/94
        e F. Purini, recensione a P. Eisenman la fine del Classico, "Casabella",
        12/87  4. La casa del pendio. Eisenman
        wrightiano? Su House VI cfr.
  "Architectural Design" 1/78 Cfr. anche Peter Eisenman, House X,
        Rizzoli International, New York 1982 che ripubblica un saggio di Mario
          Gandesonans, From Structure to Subject apparso sia su
  "Oppositions"
        n. 17 1978 che su "A+U" 1/78.  5. Trivellazioni nell'inconscio. "Fu
        allora, che decisi di intraprendere
        la terapia psicoanalitica. Ero veramente preoccupato, dopo aver
        impiegato
        così tanto tempo a progettare House X, nel non vederla
        costruita.
        In quel momento cominciai ad andare verso il mio inconscio attraverso
        le
        mie sedute di analisi: divenni meno orientato verso la testa. Questo
        causò
        una modifica nella mia architettura: andò verso la terra" (Eisen
        89 p. 142). Cfr. anche, riassuntivo sull'intero ciclo delle case, Peter
        Eisenman, House of cards, Oxford University press, Oxford 1987
        (con
        saggi di Rosalind Krauss e Manfredo Tafuri).  4. Dislocare il Post.  1. Sterro, tracciati, metafore. Jencks 89 p. 127, scrive: "Il
        progetto Cannaregio per Venezia del 1978 indica questo cambiamento
        verso
        quello che io chiamo il suo ëNon Post-Modernismo' cioè
        l'uso di
        norme Post-Moderne in una maniera invertita o Decostruita". Molto vi
        sarebbe
        da discutere, in parte vi torneremo, su questa implicita (anche se
        invertita
        paternità che Jencks si attribuisce). Ma l'osservazione è
        stimolante. Comunque molto prima Bruno Zevi aveva intitolato un
        suo editoriale L'anti-memoria di Peter Eisenman ("L'architettura
        - cronache e storia", 10/82)  Molti autori si soffermano sulle
        incongruenze funzionali delle case
        di Eisenman. Una sintesi efficace è quella di Ray Smith in
        Eisen 85. " le scale non hanno ringhiere, le colonne non toccano il
        suolo
        ma risultano appese, i requisiti funzionali di bagni e cucine sono
        negati,
        si abbisogna di aria condizionata sul lato nord. (...) Nella House VI
        per
        Suzanne e Richard Frank, una scala è troppo bassa per scendere
        senza
        saltare aduck y, una porta è troppo stretta per entrare senza
        girarsi,
        un pilastro cala tra le sedie del tavolo da pranzo". La svolta di
        Eisenman
        tra il 1982 e il 1983 è ricordata tra l'altro proprio da
        (Susanne)
        Frank 93 p. 235: "L'11 agosto 1982, festeggiando nel suo piccolo studio
        il cinquantesimo compleanno, Peter Eisenman ha fatto un breve discorso
        per affermare: "Ho passato i miei primi cinquant'anni a lavorare per
        l'istituto
        (l'Iaus), i prossimi cinquanta saranno per lo studio e la progettazione
        attiva" " Del 1982 sono infatti le dimissioni da direttore dell'Iaus e
        la chiusura di "Oppositions" e altre vicende della sfera personale.  2. Eisenman riemerge a Berlino. Sull'Iba berlinese vi è
        una sterminata bibliografia, un buon testo riassuntivo in italiano
  è
        stato redatto in occasione della mostra Berlino capitale...Multigrafica
        y. È interessante notare che su alcune strategie simili di town
        design, Eisenman si è misurato anche per la città di
        Roma,
        e in particolare per l'area del borghetto Flaminio. Nessuno,
        apparentemente,
        nella affannosa rincorsa ai commissari esteri per giudicare il Concorso
        espletato nel 1995, si è ricordato di questo progetto redatto
        otto
        anni prima (cfr. Triennale di Milano, le Città invisibili 1987).
        Il progetto romano completa idealmente una triade con quello per
        Venezia-Cannaregio
        (1978) e quello a Verona denominato Moving arrows, eros and other
        errors:
        Romeo e Giulietta del 1985. Di questi lavori si tratta anche nel volume Peter
          Eisenman , La fine del classico (a cura di Renato
            Rizzi)
        Cluva, Venezia 1987 in specie nel saggio di Franco Rella, Figure
          nel
          labirinto.  3. Collage di tracce. Eisenman spiega la differenza nell'uso
        del termine testo tra la sua prima fase (quella grosso modo della Cardboard
          Architecture) e la seconda (caratteristica, tra gli altri del
        progetto
        per la Villette con la consulenza di Derrida): "Nella prima di queste
        elaborazioni,
        il testo non è più considerato come la rappresentazione
        di
        una narrazione, quanto piuttosto come la rappresentazione della
        struttura
        formale di una narrazione. Nella seconda, il testo ënon è
        più
        qualcosa di completo, racchiuso in un libro e nei suoi margini, ma
  è
        piuttosto un sistema differenziale. Un tessuto di tracce che rimanda
        all'infinito
        a qualcosa di diverso e altro rispetto al testo stesso". In
        quest'ultimo
        senso, il testo "rimuove l'idea convenzionale o naturale' del lavoro
        letterario.
        e se il concetto di testo come struttura dell'opera si riferiva ad un
        processo
        interno all'opera stessa, questa seconda nozione di testo crea una
        condizione
        fondamentale di "spiazzamento"; non dipende più da alcuna
        relazione
        interna, come la struttura. (...) Il testo non corrisponde mai a un
        solo
        significato; ogni singolo elemento che vi appare ha più di un
        significato".
        In Eisen 88 p. 206. Sul progetto della villette vedi "Domus"3/87.  4. Il "tra". Il progetto del
        Wexner center for the arts ha avuto
        un grandissimo eco sulla stampa specializzato e non quando è
        stato
        aperto al pubblico nel 1989. "Raramente un edificio è stato
        inaugurato
        allo stesso modo del Wexner Center a Columbus Ohio, dove l'anziano
        statista
        dell'architettura Philip Johnson, si è unito con alcune delle
        più
        brillanti leve della nuova generazione - Charles Gwathmey, Michael
        Graves,
        Richard Meier, Harry Cobb - per non citare i rappresentati del
        cosiddetto
        circolo delle avanguardia delle arti, come Laurie Anderson, il Kronos
        Quartet
        e Twyla Tharp" (Ghirardo cit. "Casabella" 6/94 p. 23). Diane Ghirardo
        aveva
        trattato con toni critici del lavoro di Eisenman nel volume da lei
        curato Out
          of site, A social criticism of architecture, Bay press, Seattle
        1991
        in particolare nel saggio Two Institutions for the Arts. Indubbio
        che il clamore della stampa ( Rizzoli international nel 1989 stampa un
        intero libro sull'edificio con saggi di rafael Moneo e Jonathann Green)
  è adeguato più al ruolo culturale dell'autore e alla
        novità
        del suo primo grande edificio pubblico in America che al valore
        intrinseco
        dell'opera, inferiore, e di molte spanne, ad altre opere pensate in
        seguito
        per la stessa Columbus.  5. Il futuro del passato. Frank
        Gehry e Peter Eisenman sono stati
        associati in diverse occasioni negli ultimi anni di nuovo
        dall'autorità
        di Philip Johnson (basti ricordare la sua Introduzione a Peter
          Eisenman & Frank Gehry, catalogo della V mostra internazionale
        di Architettura alla Biennale di Venezia, Rizzoli international New
        York
        1991). Un anticonvenzionale ritratto Gehry Eisenman amici -nemici, di Andrea
          Stipa, "Ricerca e progetto" n. 3 1994 y. Heyer 93,
        attraverso
        il montaggio mirato che opera nel suo volume, accosta Johansen a Gehry.
        Sulle nuove concezione dello spazio pubblico di cui Gehry rappresenta
        il
        massimo artefice e su alcune evidenti reinterpretazioni operate da
        Gehry
        dello stage set di Charles Moore Cfr. Il vuotometrico. Se
          il
          vuoto si fa progetto, "Costruire", 5/95 ma giusto ricordare che
        nella
        bibliografia di questo volume si trova la seguente affermazione "Frank
        Gehry ha sviluppato lo spazio Post-Moderno di Charles Moore e altri con
        una attitudine Tardo-Moderna". (Jencks 89 p. 119) In questa operazione
        Gehry è letteralmente un architetto decostruttivo. Decostruisce
        cioè stereotipi scenografici in un sentire opposto. In altre
        occasioni,
        per spiegare gli stessi fenomeni di ibridazione (cfr. Scenari futuri
        inedito
        a questa data ) abbiamo usato la metafora del lievito: un enzima malato
        che diventa lievito fragrante di una nuova sintesi. L'importanza del
        Museo
        californiano è sottolineato bene dal seguente paragrafo:  "Nella proposta per il Long Beach Art
        Museum, del 1986, una delle prove
        migliori dell'ultimo decennio, l'idea della rivelazione delle tracce,
        della
        sovrapposizione indifferente delle varie ëforme urbane' genera un
        insieme
        complesso ed efficace, meno letterario delle coeve sperimentazioni
        fatte
        per la biennale del 1985 (Moving arrows...) o per la Triennale del 1987
        (proposta per via Flaminia a Roma), ma più credibile e
        interessante,
        capace di suscitare curiosità vera su come sarebbe un pezzo di
        città
        (o di paesaggio) progettato da Peter Eisenman." (Ciorra 93 p.19)
        Il giudizio è assolutamente condivisibile, (a parte l'aggettivo
  "indifferente": forse si tratta semplicemente di "differente": delle
        tracce
        si usano qui solo le porzioni che contribuiscono alla struttura
        spaziale
        del progetto). Il progetto è pubblicato con un testo di Eisenman
        in "Lotus" n. 50 1987 e in "GA international 18" 4/87. Cfr anche a cura
        di Pippo Ciorra, Botta Eisenman, Gregotti Hollein: Musei,
        Electa, Milano 1991.  5. Rivoluzione permanente e grandi
        conquiste  1. Lotta al Cubo. Delle diverse
        teoriche scientifiche applicate
        da Eisenman alla progettazione architettonica tra cui appunto la
        geometria
        di Boole, il Dna, il frattale un utile compendio è in Gerhard
          Schmitt,Architecture et Machina. Computer Aided Architectural
            Design
            und Virtuelle Architecktur, Vieweg, Wiesbaden, 1993 in particolare
        perché qui ne viene studiato il possibile sviluppo elettronico.
        Il progetto per Carnegie-Mellon è stato discusso a più
        riprese
        tra Schmitt (docente e collega di chi scrive alla medesima
        università)
        e Eisenman (che in quel periodo teneva un corso al Dept. of
        Architecture).
        La citazione di Susan Condé è in Marco De Martino, Euclide
          da Vinci, "Panorama" 18/2/94 pp. 152-156.  2. Il cagnolino Balla sulla sabbia. Eisenman
        scopre il Chora
        di Platone ("il ricettacolo" come qualcosa tra luogo e oggetto) via
        Jacques
        Derrida che stava lavorando al Timaeus Timeo y di Platone al tempo del
        Progetto della Villette, ma l'idea si decanta solo tre anni dopo in
        questo
        progetto spagnolo. Eisenman per spiegare le vibrazioni che assume la
        forma
        base propone "arabesque": termine pieno di equivoci, almeno in
        italiano.
        Crediamo che "sfocamento" o l'inglese Blurring sia estremamente
        più appropriato. Mai abbiamo trovato né in Eisenman,
        né
        in altri autori alcun cenno a Duchamp né tanto meno a Balla. Ma
        le fonti di ispirazioni più autentiche, anche negli
        iper-teorici,
        devono viaggiare sotterraneamente!.  3. Cavi audaci per insegnare
        architettura. Il progetto viene
        presentato in AdA 92 con la datazione 1991 e risulta redatto in
        collaborazione
        con Lorenz e Williams inc. A questo splendido progetto, nell'ampio
        servizio
        a cura di Levrat, spicca il saggio "Le génie de la
        matière"
        nel quale Standford Kwinter dedica all'opera una dettagliata analisi
        una
        volta tanto non "letteraria" ma estremamente pertinente alle tecniche e
        alle idee che effettivamente guidano lo strutturarsi di questa
  "materia".  6.. Eisenman realista  1. Decostruire, ma cosa?.. Sul
        fenomeno decostruttivista ormai
        la letteratura è vasta. In Italia, tra altri Livio Sacchi, ne
  è
        stato un critico attento (Cfr. Sacchi 90 e il suo scritto Architettura,
          ermeneutica, decostruzione in Bianca Bottero Decostruzione in
            architettura
            e in filosofia, Cittàstudi, Milano 1991) ma la fonte
        bibliografica
        per cogliere la complessità del fenomeno è De89. Questo
        corposo
        volume (294 pagine di grande formato) una volta tanto dà credito
        al titolo Decostruction Omnibus volume. L'interesse
        dell'opera,
        che raccoglie anche scritti apparsi sul catalogo della mostra al MoMA
        di
        New York o su "Architectural Design", è anche dare voce ad
        autori
        come Jencks (Deconstruction: the pleasure of absence) e
        soprattutto James
          Wines (The Slippery Floor) che da posizioni opposte
        destabilizzano
        le nuove ipotetiche certezze. Si tratta di una linfa critica, che i
        curatori
        Papadakis, Cooke e Wigley, hanno l'acume di comprendere e che dà
        ancora maggior prestigio al volume e al movimento che vi viene
        presentato.
        I due saggi della Cooke sono estremamente pertinenti. In Russian
          precursors,
        in particolare, l'autrice mette a confronto rivoluzioni scientifiche
        costruttivismo
        e decostruttivismo anche con uno stimolante raffronto di immagini.
        Alcune
        delle sue osservazioni e le citazioni di Fritjof Capra (The Turning
          point, New York 1982 traduzione italiana y) hanno innestato la
        quinta
        domanda del capitolo conclusivo.  2. Edifici in tre continenti. Una
        carrellata alla produzione
        recente di Eisenman come quella compiuta in questo paragrafo è
        possibile
        oggi solo attraverso lo studio di Ciorra 93, la prima vera
        monografia
        dedicata ad Eisenman. Grande merito a Ciorra e all'editoria italiana
        nell'aver
        redatto questo lavoro spianando la strada agli studi successivi.  3. Rebstock Park. Sulle
        caratteristiche del progetto di Fox Hill
        all'interno della problematiche residenziale e sul ruolo dell'Iaus in
        onnessione
        all'Udc cfr. Sistemi distributivi e architettura residenziale ,
  "Ricerca e Progetto", 12/90. Sulla posizione teorica di Kenneth
        Frampton (che firmò diversi progetti residenziali Iaus-Udc) vedi
        il suo famoso saggio L'evoluzione del concetto di abitazione
          1870-1970,
  "Lotus" 10 1975. In questa fase Frampton è molto vicino a
        Eisenman
        e "certo prima o poi - come abbiamo scritto in altra occasione -
        vedremo
        un Kenneth & Peter che indaghi le convergenze e le
        successive
        evidenti diversità - come nel Giovanni e Giuseppe di
        Cattaneo
        -Terragni") Gli studi e progetti residenziali di questa fase -
        bruscamente
        interrotta per il cambio di interesse verso l'edilizia economica e
        popolare
        che in tutti gli Stati Uniti caratterizza la seconda metà degli
        anni Settanta. sono stati diffusi in AA.VV., Another Chance
          for
          Housing: Low Rise Alternatives, Museum of Modern Art, New York
        1973;
  "Low Rise, High density", Progressive Architecture, Dicembre
        1973
        e su "L'Architecture d'Aujourd'hui", 8-9/76  Il concetto di Tessuto (e tutte le
        implicazioni tecniche, costruttive,
        economiche metodologiche, sociologiche) sono affrontate in diversi
        altri
        lavori soprattutto in Using Goals In Design, Carnegie-Mellon,
        Pittsburgh
        1988 difficilmente però consultabile in Italia. Per
        approfondimenti
        e riscontri bibliografici si può confrontare Un architetto
          americano.
          Louis Sauer, Officina Roma 1988. Specificamente sul
        Rebstock
        Park cfr. John Rajchman, Perplications: on the space and
          time
          of Rebstock park, catalogo della mostra dei progetti, .Ernst &
        Sohn, Berlino 1991 e l'ARCA y. Sulle teorie ondulatorie cfr. Charles
        Jencks, An
          architecture of waves and twists, "Architectural Design" 5/6 1995 e
        anche The architecture of the jumping universe, Academy
        Editions
        Londra 1995 di questo tema mostrando connessioni tra il lavoro
        urbanistico
        degli architetti Costruttivisti e quello di Tschumi aveva trattato C.
        Cooke
        (Russian precursors cit. in De89)  7. Sei Domande e una risposta  Alla fine mi rimane impressa una frase
        del nostro ".i.Terragni; non
        esiste, .i.Terragni; non c'e' .i.Terragni; l'ho inventato io" . Per un
        attimo mi sorge un dubbio: l'Eisenman di queste pagine c'e' veramente,
        o è quello che vorremo che fosse?. Questo Eisenman, l'ho forse
        inventato
      io?  |