Antonino Saggio I Quaderni
 
 
 

Nascita e crollo di una Speranza












Mi sono iscritto in questa facoltà nel 1974, quindi vi porto una ventata di futuro perché ci sono dieci anni e più di distanza rispetto a chi ha parlato prima. Questi dieci anni di distanza descrivono una situazione strutturalmente diversa nella nostra scuola perché ad architetti nati all'interno di una Facoltà di elité come era quella degli anni Sessanta, succedono quelli che hanno vissuto l'esplosione dei grandi numeri dell'Università di massa. Noi per sopravvivere abbiamo combattuto in una vera e propria jungla in cui bisognava imparare regole di sopravvivenza molto diverse dalle precedenti. Quasi mai è stato fin'ora nominato il panorama internazionale, perché la crescita culturale della Scuola romana negli anni Sessanta si svolgeva in un  cerchio fortemente nazionale. Il mio problema, invece, appena laureato nel 1979 era scappare da questo Paese per formarmi e per vivere all’estero con un atteggiamento che successivamente è diventato ricorrente ed è poi diventato addirittura "sistema" negli anni Novanta con gli Erasmus, (una delle cose sicuramente positive che si devono ascrivere ai nuovi regolamenti universitari).
In questo intervento vorrei toccare tre punti:  il primo è quello del "quadro". Credo che ogni generazione debba capire quale è stato il centro delle ricerche di chi l'ha preceduto e quali sono stati i contributi di maggior spicco e originalità. Il secondo problema, cruciale anche dal mio punto di vista, è quello della datazione. In quali momenti di questa storia recente effettivamente si creano dei vortici? Il terzo problema è quello del ruolo della teoria.
Posso cominciare dal problema del quadro che vuol dire, più specificatamente, cercare di capire come il gruppo di persone che si muovevano negli anni Sessanta a Roma recepiva una situazione generalizzata dell'architettura e della società e con quali margini di originalità ha cercato di rispondere. Ora è certo che gli anni Sessanta sono anni d'esplosione: un’esplosione da una società ancora fortemente coesa come era negli anni Cinquanta, alla società del Boom e dei consumi di massa, da una delimitazione di valori radicati e circostanziati, alla apertura verso nuove  libertà. Questi fenomeni di esplosione riguardano anche la costruzione del pensiero e dei saperi.
Il problema fondamentale dell’architettura in questo momento storico è che essa stessa è come frantumata, come se fosse anch'essa soggetta ad un big-bang: l’architettura non è più ormai la disciplina unitaria che avevano lasciato i padri del Moderno, ma una disciplina frazionata, praticabile da punti di vista estremamente eccentrici (come fanno tutti gli autori che vanno per la maggiore in questi anni).
All’interno di questo processo si cominciano a creare anche in Italia dei nodi e a Roma comincia a prendere forma, come in altre parti d'Italia a partire dalla posizione di Aldo Rossi, la specificità del momento "autonomo" della rappresentazione e del disegno. Ma questa posizione assume vera rilevanza, diventa un vero contributo della nostra Scuola solo quando si sposa con una consapevolezza specifica di Roma quale grande lezione di architettura, come sorgente di continue interrogazioni e riflessioni.
Io mi sono messo a studiare quattro personaggi che hanno cominciato a lavorare negli anni Sessanta e ho pubblicato dei saggi su tutti e quattro: Purini, Anselmi, Cellini e successivamente anche Fuksas.
A me pare che pur se in maniera diversa (che so, il tema della scena urbana, quello del muro e delle stratificazioni, l'idea della sezione come generatrice tutta romana di organizzazioni progettuali, il continuo riferirsi alla frammentarietà della Roma del Settecento, l'intreccio tra natura e costruzione eccetera) nascano da una serie di temi forti che si cristallizzano in idee progettuali e in alcuni casi in costruzioni significative ed originali. Questo lavoro assume pregnanza nel corso degli anni Ottanta  perché è tutto il dibattito internazionale che cerca di misurarsi con il tema del contesto e delle stratificazioni storiche e certamente gli architetti che abbiamo menzionato e naturalmente anche altri hanno avuto idee e contributi originali da offrire in un'idea di Roma come grande metafora del fare architettura in quegli anni.
Un'idea di Roma come grande metafora del fare architettura è allora il contributo che faticosamente, tormentatamente e rimbalzando nel lavoro dell'uno sull’altro riemerge a distanza di vent’anni da questa generazione formatasi nella nostra Facoltà negli anni Sessanta.
Adesso veniamo al problema della datazione, il secondo argomento di cui volevo trattare. Io credo che le due date più significative sono il '63 e il '67, perché queste due date descrivono un arco dentro il quale c'è la speranza e allo stesso tempo il crollo della speranza. Naturalmente la speranza si chiama centro-sinistra.
Molte delle esperienze che sono state menzionate erano operazioni di costruzione e di miglioramento del contesto reale attraverso un'ipotesi politica e professionale, un’ipotesi di crescita del sistema Paese.  Il 1963 è anche il momento del Roxy, che a me appare (ma ho sentito diversi racconti dai protagonisti, molti qui oggi presenti) anche un momento di ricerca di un'ipotesi di rinnovamento concreto; rinnovamento della società e rinnovamento della didattica ad un tempo. Zevi e Quaroni arrivano a Roma, ed è vero che Zevi mette (metaforicamente, certo) delle bombe. Zevi fa queste lezioni di una magia che non si era mai vista prima ed è vero che rompe alcune cose, ma è chiaro che le rompe all’interno di un grande progetto riformista che prevede anche una aderenza  tra due generazioni, quella di Zevi e quella di Portoghesi, con il tentativo di portare "dentro" il sistema universitario personalità giovani e forti.
Questo progetto riformista ha nel '66 almeno due momento significativi, il padiglione Montreal, e lo studio Asse per lo Sdo a Roma. Come sappiamo tutti, e come è stato ricordato, questo mondo entra in crisi nel '67, per le ragioni che sono state dette, ma per una ragione ancora più importante che incredibilmente non è stata detta, e cioè la Legge-ponte (la dilazione dell'adozione dei nuovi standard urbanistici che causò una generalizzata speculazione edilizia nell'intero paese). La legge-ponte, è una specie di simbolo dell'Italia e dell'italianità: un Paese che per adeguarsi a degli standard di civiltà, che negli altri Paesi erano stati già adottati da almeno vent'anni, si ritrova a promuovere una sanatoria che sfonda il proprio territorio. L'Italia, dopo il '67 non sarà più la stessa e il '68 rende estreme e inconcialibili le posizioni.
Quindi possiamo dire che in questi anni 1963-1967, a mio avviso, si "consuma" una crisi fondamentale. Alla riforma e allo svecchiamento "intellettualmente" guidato e consapevole degli anni iniziali del centro-sinistra succede la jugngla da noi vissuta negli anni Settanta.
L'ultimo aspetto che seppur brevemente vorrei toccare è il problema della teoria.
E' vero che il gruppo dei nostri assistenti e il gruppo dei nostri giovani docenti avevano un orizzonte aperto verso la riflessione teorica e che hanno trasmesso fortemente a noi questa tensione, ma è altrettanto vero, almeno dalla mia esperienza, che questa teoria non solo era densa e complessa, il che poteva anche andar bene, ma era anche una teoria profondamente ideologica, profondamente settaria, profondamente e completamente avulsa da ogni tipo di verifica pratica. Era una teoria che innervava sì l'architettura, direzionava sì le nostre ricerche, ma era completamente autistica rispetto al reale.
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Pubblicato in Rassegna di Architettura e Urbanistica,  n.112-114
“La Formazione degli architetti romani negli anni Sessanta”,
gennaio-dicembre  (pp. 131-132). Vai Notizie sul Simposio promosso da Franco Purini >>>> go

IMMAGINI

Le immagini vorrebbero indicare un percorso, appena accennato nel testo, dentro e fuori Roma intesa come scuola. La più importante e significativa è la numero 1, quella in cui si mostra un progetto redatto nell'Università di Roma nel 1977.

1. Residenze a novevole spessore a Primavalle con Chialastri, De Jacobis, Macori, Prestinenza Corso L. Anversa assistenti D'Ardia e Passi, Roma 1977