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Arte automatica o dei robottini ovali

di Roberto Sommatino


...Prendendo ad occasione delle opere realizzate da Robot, gli autori illustrano l'intimo legame tra scienza e arte: discipline separate alla nascita, ma che si sono, da sempre, con varia intensita', contaminate a vicenda . La scoperta della complessita', (attraverso i concetti di "biforcazione", "strange attractors", e "caos deterministico") e la rivoluzione informatica ("dematerializzazione", "virtualita'" e "codice") consentono di rileggere in senso auto-organizzativo le ipotesi sull'apparizione della creativita', e, soprattutto, rompono il monopolio dell'oggettivita' sul regno della conoscenza, contribuendo così non poco a sfocare i confini tra ricerca artistica e scientifica.  Leonel Moura e Henrique Garcia Pereira mostrano poi come, parallelamente, la ricerca artistica tout-court e quella filosofica approdino su temi quali la perdita di importanza dell'autore e quindi delle nozioni di copia e originale, fino all'elogio del plagio come feconda e legittima attivita' creativa. L'artista dal ‘900 non cerca più la verita'. Foucault e Derrida mettono Heidegger in soffitta. Duchamp, dal canto suo, dimostra che il significato di un'opera d'arte dipende dal piano interpretativo e può essere persino slegato dall'artefatto; nascera' l'arte concettuale.....


Leonel Moura, Henrique Garcia Pereira, Man + robots, symbiotic art, Collection écrits d’artistes, Institut d’art Contemporain Villeurbanne, Villeurbanne, maggio 2004


Il giorno in cui leggeremo critiche o recensioni, o persino brevi saggi su opere d'arte od artisti, interamente pensati e vergati da robot, non sembra poi così prossimo; invece una mostra completamente dedicata a robot artisti e arte robotica si tiene già, e precisamente fin dal maggio 2002. Nell'edizione 2004 al Mink Building di Harlem, il direttore di "ArtBots: the robot talent show" (**) ha riunito, per tre giorni di settembre, venti lavori provenienti da sette paesi diversi, che hanno richiamato migliaia di visitatori. Tra semperiane pareti tessili che chiudono e aprono le loro trame interagendo col rumore provocato dai visitatori, onirici stormi di candidi palloncini che agiscono collettivamente a distanza di migliaia di chilometri ed altri congegni più o meno interessanti, "solamente" un paio, sono stati i progetti di robot che si sono cimentati con il "blocco della tela bianca".

 

"Man + robots, symbiotic art", il testo di cui trattiamo, illustra proprio uno di questi due lavori, certamente il più elegante e sostanzioso, vale a dire il progetto "ArtSBot", acronimo di "art symbiotic robots" (che non va confuso col titolo della manifestazione stessa). Il volume è stato prodotto dai medesimi autori, cioè Henrique Garcia Pereira, ordinario all'Università di Tecnica di Lisbona, e l'artista portoghese Leonel Moura, che porta a rotonda maturazione la sua personale ricerca che ha visto come tappa immediatamente precedente i bellissimi "swarm paintings" di cui ci siamo già occupati >>

Moura e Pereira hanno messo a punto dei piccoli robottini ovali (Mbots), simili a scarabei a rotelle, dotati di due pennarelli e otto batterie "stilo"; ma anche di un sistema di sensori che riceve i segnali dall'ambiente (ostacoli e colori), di un sofisticato controller che elabora le informazioni e di dispositivi attuatori che producono i movimenti. In una stanza semibuia, con una fioca luce artificiale (pare che non amino l'en plein air), messi davanti, anzi (pardon), sopra una tela bianca, gli Mbots superano agevolmente il classico blocco e cominciano con indolenza, simultaneamente ma ognuno per i fatti suoi, a tracciare qua e la' piccoli segni colorati, a caso, finché, imbattendosi nelle tracce dei compagni, si fanno prendere da una certa euforia e, riconosciuto il colore, scelgono il pennarello corrispondente rinforzando il segno. E mentre la frenesia monta esattamente quanto il brusio, pian piano il quadro affiora dalla tela. Ad un dato momento, molto prima delle quattro ore di autonomia che basterebbero a riempire tutta la tela, il "partner umano" (come lo chiamano gli autori) giudica pronto il quadro e mette fine all'attivita' dei robot. Si può fare luce ed ammirare la tela.

Gli Mbots al lavoro

Fasi di un dipinto: 30, 60, 120 e 180 minuti

ArtSBot è quindi il primo esperimento di robotica collettiva applicata al campo artistico; il nuovo dominio dell'arte che ne scaturisce, e che è stato battezzato "Arte Simbiotica", ha persino un manifesto, articolato in sei punti:

1.Le macchine possono produrre arte.

2.L'uomo e le macchine possono produrre arte simbiotica.

3.L'arte simbiotica è un nuovo paradigma che apre un intero nuovo campo artistico.

4.La manifattura dell'oggetto e il regno della mano nell'arte possono essere abbandonati.

5.L'espressione personale e la centralita' dell'umano/artista possono essere abbandonate.

6.Ogni pretesa moralistica e spirituale e ogni scopo rappresentativo possono essere abbandonati.

Per farci immergere nella genesi di questo progetto, il testo muove necessariamente da un interrogativo preliminare: "L'arte è utile o inutile?" Come Hegel, Munari, Pessoa, e molti ancora, Moura e Pereira sostengono che ogni attivita' che possa definirsi "arte" debba necessariamente essere slacciata da qualsiasi utilita': nessun obiettivo da perseguire (verita', bellezza, rappresentazione…), nessuna morale che sovrintende, nessuna performance da misurare. E se non c'è uno scopo non può esserci progresso o apprendimento. L'arte semplicemente "avviene" in un'arena "…neo-darwiniana…" in cui c'e' mutazione ma non selezione (selezionare a quale scopo?) e diventa un'oziosa sperimentazione del possibile senza approdo ne' vantaggio.

M. e P. illustrano poi l'intimo legame tra scienza e arte: discipline separate alla nascita, ma che si sono, da sempre, con varia intensita', contaminate a vicenda e che nella linea di pensiero che più recentemente passa per Asger Jorn, Pinot-Gallizio e, principalmente, Constant si auspicano ricondotte a completa fusione, teorica e produttiva; la scoperta della complessita', (attraverso i concetti di "biforcazione", "strange attractors", e "caos deterministico") e la rivoluzione informatica ("dematerializzazione", "virtualita'" e "codice") consentono di rileggere in senso auto-organizzativo le ipotesi sull'apparizione della creativita', e, soprattutto, rompono il monopolio dell'oggettivita' sul regno della conoscenza (Bachelard), contribuendo così non poco a sfocare i confini tra ricerca artistica e scientifica. I nostri autori mostrano poi come, parallelamente, la ricerca artistica tout-court e quella filosofica approdino su temi quali la perdita di importanza dell'autore (Benjamin, Dada, Luther Blisset, Wu Ming) e quindi delle nozioni di copia e originale, fino all'elogio del plagio come feconda e legittima attivita' creativa (Lautre'amont). L'artista dal ‘900 non cerca più la verita'. Foucault e Derrida mettono Heidegger in soffitta. Duchamp, dal canto suo, dimostra che il significato di un'opera d'arte dipende dal piano interpretativo e può essere persino slegato dall'artefatto; nascera' l'arte concettuale. E Moura chiosa "…ciò che e' importante nell'arte contemporanea non ha niente a che fare con l'oggetto prodotto ma riguarda il processo creativo che vi sta dietro". Danto nel 1997 sosterra': "…l'arte, adesso, e' la totalita' della vita". Si chiude il cerchio, la complessita' e' “riscoperta" a ritroso lungo le strade dell'arte e della filosofia: l'elaborazione artistica per alternative (Duchamp), l'artista che accetta l'imprevedibile (Costant), il concetto di diagramma come macchina astratta (Deleuze).

E difatti: cosa altro fanno i robottini se non simulare proprio un processo vitale? Non eseguono forse un processo artistico (di cui rimane traccia) che, come la vita, o meglio, in quanto vita, si auto-organizza e che, in questo modo, indaga uno fra gli innumerevoli frammenti della realta'? Si legge riguardo ai dipinti degli Mbots: “…gli artefatti, per loro natura effimeri e incompleti, rappresentano un momento in divenire…la vita come e' si tramuta ne la vita come potrebbe essere." Artsbot e' soprattutto questo: un “esperimento artistico" in continuo farsi che, come una lente sulla realta' ne annulla la parallasse sia per l'arte che per la scienza. 

Ma perche' proprio dei robot? Perche' scegliere delle macchine che, per definizione, sollevano l'uomo dai lavori forzati e noiosi? M. e P, ad un dato momento, si sono chiesti: chi (o cosa) e' capace di provare (nel senso di “mettere alla prova") la realta' in modo non ripetitivo, senza un fine e assolutamente a caso? Certamente non l'uomo, che, con tutte le sue velleita', più o meno consapevoli, e' il primo esiliato da questa fase dell'attivita' artistica; ma neanche delle semplici macchine (seppure magnificamente “inutili" come quelle di Munari), incapaci di quella interattivita' necessaria per avere iniziative non preordinate nella propria struttura (non ripetitive appunto) ma sviluppate all'interno di un determinato ambiente. La scelta cade su un particolare tipo di robot autonomi, basati su un approccio cosiddetto bottom-up dell'intelligenza artificiale, che “…abolisce la necessita' di un'intelligenza cognitiva che media [attraverso una rappresentazione della realta'] tra percezione e piani d'azione…" dandosi fondamento su una sorta di panteismo che sostituisce la divinita' con un'intelligenza sprovvista di “corpo/contenitore" ma immanente alle interazioni che accadono nell'ambiente stesso.

M. e P. scelgono, molto opportunamente, di puntare anche sulle dinamiche collettive che si creano tra agenti autonomi, includendo nelle loro ricerche gli studi sulla robotica collettiva, agli esperimenti di vita artificiale e un particolare processo di cooperazione tra individui (siano essi insetti, uccelli o esseri umani) chiamato stigmergia(*). La ragione di questa scelta si spiega considerando che la realta' non produce mai un'interazione esclusiva tra ambiente e un singolo individuo e perciò i modelli collettivi si dimostrano sempre paradossalmente più semplici ed efficienti (la creativita' emerge come fenomeno collettivo).

E l'uomo? L'uomo non e' completamente escluso dall'esperienza artistica (…e' symbiotic art per l'appunto); egli rimane staticamente a monte e a valle del processo, non e' più agente, ma creatore e giudice (punti 4, 5 e 6 del manifesto). Diventa creatore in quanto programmatore. Delle tante metafore attingibili dal contesto della rivoluzione digitale, infatti, quella verso la quale Moura e' più debitore e' forse il “codice". Un codice/struttura che non contiene nessuna etica precostituita e viene caricato su un agente poi inviato “per le strade del mondo"; la creativita' diventa allora la capacita' di inventare le regole (Debord) per innescare microcosmi o universi. E la bellezza, pomo che i robottini non hanno assaggiato, che fine fa? La mutazione, in effetti, non e' mai infinita; intanto perche' il sistema evolutivo che si analizza può non avere infinite variabili ma soprattutto perche' a volte si raggiungono degli stadi singolari, capaci, come dire, di assolvere bene il proprio compito, virtuosi di una virtù senza morale (l'arete' dei greci); stadi “eleganti" per dirla con Cubbit, e per questo inclini ad una stabilita' maggiore degli altri. E quindi la “bellezza" e' il margine del caos, e' “…il campo di battaglia perennemente in bilico tra inerzia e anarchia"(***), speciali equilibri che il giudizio (umano) ha il compito precipuo di riconoscere. 

Il testo e' breve, denso, informato, sviluppa l'intera tesi induttivamente (alleggerendo così il compito del lettore) e utilizza le citazioni e i rimandi di cui trabocca, e che percorrono in lungo e in largo il dibattito artistico e filosofico dell'intero ‘900 seguendo costantemente un percorso intellettuale ben individuato e sempre messo a fuoco, per far letteralmente emergere il progetto Artsbot; come i dipinti dei robottini sulle tele.

05/04/2004, inchiostro su tela, 190 x 160 cm (4 mbots)

22/03/04 2004, Inchiostro su tela, 100 x 100 cm (2 mbots)

24/02/2004, inchiostro su carta, 99 x 99 cm (1 Mbot)

10/04/2004, inchiostro su plexiglass, 85 x 180 cm (4 Mbots)

I robot possono lavorare su una lastra di plexiglass sovrapposta ad un'immagine (seed), in questo caso “La morte di Marat" di David). Si possono vedere l'immagine/mangime, la sovrapposizione e il lavoro finale.

(*)Stigmergia e' un termine coniato dal greco dall'etologo francese Grasse' alla fine degli anni cinquanta e significa letteralmente “incitare al lavoro". E' un meccanismo di cooperazione, molto diffuso nel mondo animale - le termiti e le api lo seguono nel costruite i loro nidi, ma anche i calciatori, ad esempio, istintivamente lo applicano nel corso di una partita - basato su comunicazione implicita. Gli agenti che partecipano all'azione collettiva si organizzano autonomamente, eseguendo azioni individuali il cui scopo e' quello di rafforzare pattern che ciascuno di essi può osservare nell'ambiente. 

(**)Douglas Repetto

(***) Waldrop, Morris Mitchell, Complessita': uomini e idee al confine tra ordine e caos, Instar libri, Torino, 1995

Progetto Artsbot online:www.lxxl.pt

Leonel Moura e i suoi Mbots
 
 
 

     robertosommatino@libero.it
 
 



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